Nel mezzo di una pandemia che sta seminando dolore e
morte e sta chiamando tutti a uno sforzo straordinario, l’Italia ferita,
attonita e smarrita, si appresta a uscire con cautela, gradualità e massima
prudenza dal lockdown,
il prossimo 4 maggio. Come faranno, in tempi analoghi o vicini, altri Paesi
europei.
La
falce del coronavirus ha spezzato in due le nostre esistenze: nella normalità
di un PRIMA, che sembra lontanissimo e dimenticato (anche se era solo due mesi fa)
e in un DOPO, quello nel quale siamo ancora immersi fino al collo, che
richiederà molta forza, equilibrio, ulteriore sacrificio e coraggio, per essere
affrontato senza lasciarsi prendere dallo sconforto o dalla depressione.
Le
misure dell’isolamento, del restare a casa e di uscire solo per l’essenziale -
impegno passivo e relativamente semplice, richiesto dal governo - tra pochi
giorni, si ribalteranno nella cosiddetta fase due, una prova assai più
difficile e complessa, dove saremo tutti coinvolti nella tutela della salute,
più di quanto non lo siamo stati fino ad oggi.
Il
coronavirus non è sparito. Si corre il rischio drammatico, allentando il
lockdown, di far aumentare i contagi e di tornare alla casella iniziale, come
in un sadico gioco dell’oca. Un pericolo tragicamente reale.
Non
sarà, quindi, una “tana libera tutti”, ficchiamocelo in testa. Ora la
faccenda si fa ancor più seria, molto più di prima. Dopotutto, ricorda il
virologo Andrea Crisanti, “Quando fu
deciso il lockdown c’erano 1800 nuovi contagiati al giorno, la stessa cifra
registrata ieri. Non è che la situazione sia così migliorata. Subito
tracciabilità
elettronica e subito i tamponi”.
Tutto sommato, finora, il lockdown ha fatto tutto per
noi, solo in minima parte è stato una prova generale di quello che ci aspetta
per un tempo indefinito, perché “il virus
non fa sconti e potrebbero esserci nuove ondate. E’ bastata una singola botta
per conciarci come ci ha conciato”, aggiunge l’infettivologo Massimo Galli,
soprattutto se non si adottano misure di
prevenzione e arginamento di nuovi singoli focolai. Dover richiudere dopo aver
riaperto potrebbe essere un disastro”.
Non potrà esserci un carabiniere in ogni negozio che
riaprirà, in ogni ufficio che tornerà a lavorare o in ogni mezzo pubblico, né
un posto di blocco per ogni auto che si rimetterà in moto. Dovremo dunque
pretendere da tutti l’adesione alle indicazioni e al proprio senso civico e di
responsabilità, doveroso per il benessere collettivo, per uscire dalla crisi
sanitaria e far ripartire il paese.
Quindi, riaperture caute e graduali, turni di lavoro, turni per entrare nei negozi, distanza di sicurezza e dispositivi di protezione obbligatori per chi ha
contatti con il pubblico, sui mezzi di trasporto, sui luoghi di lavoro e negli
luoghi chiusi; affluenza minima negli uffici, spazio fra le postazioni,
appuntamenti per altri esercizi, come parrucchieri e centri estetici. Tutti
modelli di convivenza con il virus, in grado di garantire la sicurezza e la
progressiva ripresa delle attività.
Per
la cronaca, in Germania, subito dopo l'allentamento delle misure di contenimento, il
tasso di contagio è risalito
L’emergenza sanitaria resta gravissima, così come la
crisi economica e la compressione di alcune libertà individuali e della
privacy, che la diffusione repentina del coronavirus ha reso necessarie. In
momenti come questo, certamente eccezionale, non possono non esserci naturali e
provvisorie limitazioni, valutate e bilanciate con un altro fondamentale
diritto individuale e interesse collettivo: quello alla salute.
Il governo, su indicazioni di medici e scienziati, è
stato costretto ad adottare alcune misure restrittive delle libertà e dei diritti
fondamentali dei cittadini che i soliti tromboni, opinionisti del nulla e di
una TV, imbecille e deleteria, contestano e rifiutano per puro esibizionismo,
per far finta di contare, per
condizionare e aizzare i comportamenti di gente stanca e disperata, che subisce
e non reagisce, se non per insultare, offendere e denigrare. Basta scorrere un
qualsiasi Social.
Questi sciacalli
parolai, come il forsennato pagliaccio Sgarbi, che ancora si esibisce e
definisce “task force di 'capre' il Comitato Tecnico Scientifico
che decide per il Governo"; o il disgustoso, inetto Capezzone che si accorge che “Conte non è
proprietario delle nostre vite e delle nostre libertà. Torniamo liberi.
Vogliamo uscire, lavorare, vivere. Perché dovremmo fidarci della app? Manca solo il microchip come ai
gattini”.
A seguire, tutti gli altri soliti dissertatori
dell’acqua calda, protagonisti del banale e inconcludenti, come Feltri, Porro,
Belpietro, Sallusti, Giordano e affini, che insinuano, strillano, alludono,
aggrediscono, straparlano e mettono zizzania, sempre a caccia di scalpore e
sensazionalismo.
A questa razza di pericolosi contestatori a
prescindere, che tutto criticano e condannano, solo per fare il gioco di una
certa squallida opposizione politica, andrebbe ricordato che, tra diritto alla
privacy e diritto alla salute, il diritto alla salute viene molto, ma molto
prima. Anche per voi, implacabili fedayn della falsa libertà a chiacchiere.
Fate schifo. Fate veramente pena. Non vi sopporto più.
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