Neppure la pandemia in corso e l'acceso dibattito degli
ultimi giorni sulla regolarizzazione degli invisibili, impegnati nel settore
agricolo (raccoglitori di frutta e verdura), sembrano far migliorare la
situazione dei tanti stranieri che vengono sfruttati nelle aziende agricole,
pagati pochi spiccioli, minacciati e costretti spesso anche a subire violenze.
La Polizia ha arrestato ai domiciliari un imprenditore di
Terracina e sottoposto il figlio all'obbligo di firma, entrambi accusati di
reati che vanno dall'estorsione alla rapina, fino alle lesioni personali
aggravate.
Gli investigatori hanno accertato che un 33enne indiano,
che si è presentato al pronto soccorso dell'ospedale di Terracina con ferite
alla testa, fratture e lesioni in varie parti del corpo, era stato massacrato
di botte dopo aver chiesto al proprio “padrone” i dispositivi di protezione
individuali per difendersi dal Covid-19. I due indagati, dopo aver negato al
lavoratore guanti, mascherine e perfino la paga per il lavoro svolto, lo
avrebbero infatti licenziato, ingiuriato, minacciato, preso a calci e pugni e
gettato in un canale di scolo.
Una esemplare punizione, anche per gli altri braccianti
agricoli, impegnati nella stessa azienda di aguzzini, dove si è scoperto
l’ennesimo caso di abuso e sistematico sfruttamento fisico ed economico, con vergognose
condizioni di lavoro difformi da qualsiasi normativa.
I braccianti sarebbero stati infatti costretti a lavorare
anche 12 ore al giorno, tutti i giorni della settimana, festivi compresi, senza
riposo e senza congedi per malattia, in cambio di 4 euro l'ora. Tra l'altro, in
busta paga sarebbe stato contabilizzato soltanto un terzo delle giornate di lavoro
effettivamente prestate. Nessuno è stato trovato provvisto dei dispositivi a
tutela sicurezza e dell'igiene.
Lo abbiamo imparato a scuola:
il 1848 è la data ufficiale dell’abolizione della schiavitù. Il commercio degli
schiavi è una mostruosità del passato, di cui ci siamo liberati, anche se
rimane la vergogna storica nella nostra coscienza di esseri umani.
Ma se quel tipo di schiavitù
legale è finita quasi dappertutto, ne è sorta una nuova, forse peggiore della
prima e strettamente legata all’immigrazione clandestina, che esiste in tutto
il mondo, anche nei paesi più sviluppati: quella illegale, basata sul diritto
al sopruso, camuffata sotto vecchie e nuove forme, da quelle tradizionali come
la schiavitù per possesso, alla prostituzione e alla tratta di donne e bambini
per l’accattonaggio e lo sfruttamento sessuale, dal lavoro forzato a quello
domestico, a quello occasionale. Comune denominatore è il totale controllo
delle vittime da parte dei nuovi schiavisti e gli alti profitti degli
sfruttatori.
La schiavitù è diventata,
infatti, un business in continua espansione, un’industria che, nell’economia
globalizzata, obbedisce alle leggi della domanda e dell’offerta. Ci sono più persone
in stato di schiavitù oggi, che in qualsiasi altro momento della storia.
Lo schiavo, oggi, è materiale
di consumo, è merce usa e getta, è usato finché serve, quindi viene scartato e
rimpiazzato con altra merce umana, senza mai tener conto dei tanti drammi umani
delle vittime, causati dalla libertà perduta, dalla dignità calpestata, dei
sogni infranti e della vita stessa in balia di maniaci e sfruttatori. E nessuno
grida allo scandalo, poiché le loro tragedie sono ridotte solo a un problema di
clandestinità.
Ma la sicurezza è e resta un diritto. Avere un lavoro con
orari e paga dignitosi è un diritto.
Dove lo Stato non è presente, dove si insinua il caporalato
e lo sfruttamento, questi semplici diritti sono ancor’oggi negati dagli
schiavisti del terzo millennio.
Che se ne fottono anche dell’emergenza sanitaria.
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