E c’è chi, ipocrita o fariseo - dopo aver deriso,
sputtanato, alimentato il coro delle comari del pregiudizio, sputato astio e
rabbia, attaccato e sparato a zero su Silvia Romano, sul suo finto o inutile
volontariato, sulle sue scelte civili, sulla sua conversione islamica, sul
certissimo matrimonio con mandingo, la sua stracerta gravidanza e la sua luna
di miele in Kenya, sul suo abito da jihadista terrorista - si permette
seraficamente di esprimere tutto il suo disappunto sulle troppe ingiurie e
sulla volgarissima violenza verbale, che altri suoi simili hanno vomitato a
cascata sul sito della giovane cooperante, poi giustamente chiuso per
saturazione di insulti.
Come un pentito di mafia del pettegolezzo e della bieca
insinuazione, sorpreso ed indignato, condanna con fermezza pure quella sorta di
attentato contro la sua casa a Milano, con il lancio di una bottiglia verso una
sua finestra.
Che coerenza, che alto senso di solidarietà, di profonda
moralità! Che invidiabile onestà intellettuale, che sublime esempio pedagogico
e sociale! Meriterebbe un premio all’antinomia e all’incongruenza.
Nel suo confuso e dissociato diverbio di pensieri
estemporanei, l’indignator cortese, offeso nell’onore, si augura (come se fosse
la prima volta) che si ritorni ad una sana dialettica, a un’ironia
condivisibile, dimenticando per magia la montagna di fango e il troppo vomito
che contribuisce a riversare tutti i giorni sul Web. A sua insaputa, in buona
fede.
Perché, dal suo pulpito, improvvisamente candido e
innocente, ci ammonisce e ci ricorda - soprattutto a noi stupidi buonisti - che
è sempre lecito discutere, proporre argomenti di segno opposto, contrapporre
sensibilità o visioni alternative del mondo o della vita, ma sempre nel
rispetto delle opinioni altrui.
Non è questo che invece accade sui social, non è questo ciò
che vediamo e che leggiamo. Post, commenti e tweet, pieni di disprezzo e di
malvagità, si moltiplicano senza tregua. Sempre più spesso, si assiste a dei veri
e propri linciaggi simbolici, ci si accanisce e ci si scanna reciprocamente, ci
si odia e ci si insulta, si incita alla violenza.
È la logica del branco - di cui parla Elias Canetti, premio
Nobel per la letteratura - in cui ognuno perde la propria specificità e agisce
in maniera irrazionale e incomprensibile. "La determinazione del branco è
immutabile e spaventosa e, data la possibilità di esprimersi liberamente, trasforma
tutta una serie di persone - che, prese singolarmente, sono magari pure docili
e tranquille - in aguzzini incapaci di dialogare e di rendersi conto degli
orrori che proferiscono, lapidando senza pietà chiunque si trovi sul proprio
cammino.
E poi, dopo aver cosparso odio come incenso e tanta
cattiveria a poco prezzo, abdicano al buon senso, a uno straccio di
ragionamento e vengono pure a farci la predica.
Da autentici pentiti, ma sempre criminali in falsa buona
fede, per non pagare il lordo pizzo della vergogna.
16 maggio 2020 (Alfredo Laurano)
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