domenica 19 agosto 2018

LA COMUNE DEI VECCHI FIGLI DEI FIORI

La vecchiaia fa paura. Anche se pochi sanno di essere vecchi. 
Fa paura la malattia, l’idea di perdere progressivamente le forze, la memoria e l’autonomia. Fa paura la possibile, se non probabile, dipendenza da qualcuno (figli, nipoti, badanti, assistenti sociali), la rinuncia forzata ai piaceri, alle scelte, ai sentimenti, alle funzioni intellettive. 
Fa paura e crea ansia la prospettiva, il futuro prossimo, l’incertezza, il mistero della fine. 
Prima o poi, tutti ci interroghiamo con timore: che sarà di noi, cosa ci aspetta, come e dove finiremo? In una casa di riposo? Soli, emarginati, dimenticati? 
La solitudine terrorizza. Restare senza un antico affetto, una necessaria compagnia, una condivisione delle cose quotidiane è qualcosa che sconvolge. 
Anche se Cicerone e Bobbio, nei loro rispettivi “De senectute”, sostengono che la vecchiaia non è scissa dal resto della vita precedente, ma è la continuazione dell’adolescenza, della giovinezza e della maturità, la visione della vita, e l’atteggiamento verso di essa, cambia a seconda di come ognuno l’ha concepita quella propria vita: come una montagna impervia da scalare, o come una fiumana in cui sei immerso, o come una selva in cui ti aggiri incerto sulla via da seguire. 
Ma quand’è che si diventa anziani? Quand’è che si passa dallo sviluppo, dalla crescita all’invecchiamento? 
Non lo sappiamo, anche perché non c’è un interruttore, un momento preciso, una data, un segnale certo che ce lo riveli. È un processo lento e inconsapevole di graduale adattamento culturale e fisiologico, che elude la nostra vigilanza. 
Il mondo di tutti i vecchi, alla fine, è il mondo della memoria: tu sei quello che hai pensato, amato, compiuto. E quello che ricordi. 
E quei tuoi ricordi sono la tua vera ricchezza, che hai conservato con fierezza, che non hai lasciato cancellare e di cui sei rimasto il solo custode. 
E che temi di perdere, all’improvviso, nel momento più difficile. 

Come risposta a queste domande esistenziali, a questi dubbi di tutti e di ciascuno, si sta facendo strada nel Nord Europa, in particolare in Danimarca, un nuovo modello residenziale di invecchiamento comune, una tendenza che mira a scongiurare le paure della solitudine e dell’abbandono, in uno delle fasi più delicate, l’ultima, della propria vita: la convivenza, una soluzione, finora, poco presa in considerazione, soprattutto in Italia. Anche se, personalmente, ho sempre considerato questa ipotesi, lanciando numerosi segnali, mai raccolti da amici e fratelli, se non addirittura derisi o coperti da un abbondante velo d’ironia. 
Un modello che pone l’accento sull’importanza dell’amicizia, che si crea o si fortifica in una sorta di villaggio privato in cui ciascun abitante o coppia ha la propria casa, ma può usufruire di molti spazi comuni, in cui socializzare e trascorrere il tempo libero in compagnia. Inoltre, grazie alla convivenza con altre persone, è possibile risolvere con più facilità alcuni problemi assistenziali e di routine. 
Di fronte a un progressivo invecchiamento della popolazione, con tutte le conseguenze sociali che esso comporta, la risposta è dunque una “comunità” in cui gli anziani abitanti possano essere parte attiva del proprio villaggio, mantenendone le redini attraverso manutenzione e gestione. Le attività interne non devono generare reddito, ma servire soltanto i residenti. 
Niente più casa di riposo, niente più ospizi lager, niente più assistenti aguzzini che picchiano gli anziani: la nuova tendenza è invecchiare con i propri amici e avere una buona qualità della vita che ci resta. 
Sempre meno solitudine, quindi, sempre più compagni di merenda e di giornata, anche nella vecchiaia: soluzioni che, forse, a breve sarà necessario adottare. 
Non serve a nulla dichiarare banalmente al mondo di sentirsi giovani dentro - come si dice per prendersi gioco di se stessi e per sublimare l’idea della fine - perché si invecchia in tutti i sensi, pur senza abbandonare la forza del pensiero: la decadenza fisica e i problemi di salute ne sono la più ampia prova. 
Ogni tempo della vita ha bisogno di semplici emozioni che appaghino e gratifichino: dal caffè con gli amici, alla voglia di leggere e sapere, dallo scambio di idee e sentimenti, al piacere della buona musica, del gioco e del mangiare, dal rispetto di chiunque, al diritto di contare. 
Anche nella tarda età, che ci fa tornar fanciulli. 
(Alfredo Laurano)

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