Vigata è la cittadina ideale creata da
Andrea Camilleri per ambientare le storie del suo commissario Montalbano. Come
ha più volte sottolineato, corrisponde a Porto Empedocle (tanto che nei
relativi cartelli turistici della località è stato aggiunto quello di Vigata),
ma per ricostruirla nella fiction sono stati usati scorci di molte città
siciliane, la maggior parte in provincia di Ragusa.
E così, questi luoghi della fantasia
(Vigata, Montelusa, Marinella, Punta secca), che fanno da sfondo alle indagini,
sono progressivamente entrati a far parte dell’immaginario collettivo popolare.
Quelle piazze silenziose, quelle strade
solitarie di paese, quegli ambienti disadorni o aristocratici, quelle larghe
spiagge, quel mare cristallino e l’assolata campagna siciliana riempiono, da
una ventina d’anni, le case e le serate televisive di tantissimi italiani.
L’eccellente adattamento filmico dei romanzi di Camilleri ha aggiunto,
ovviamente, ulteriore respiro e concretezza a quelle immagini disegnate, pur
icasticamente, dalla parola e dal dialetto.
Ma l’amato autore riesce a fare anche
di più per soddisfare o prevenire eventuali domande e curiosità di suoi
lettori. Come era Vigata prima di Montalbano?
“La
mossa del cavallo” - primo
dei suoi romanzi storici diventato film - lo spiega, con cura ed eleganza,
trasportandoci in un’epoca lontana, ma non priva di evidente attualità.
La
vicenda dell’ispettore Bovara, ambientata nella Sicilia di fine Ottocento
(1877), poco dopo l’Unità d’Italia, si avvale di una ricostruzione storica
fedele e affascinante: lo scenario, le atmosfere, i costumi, le situazioni, i
colori e gli umori caratteristici del tempo, ne fanno un giallo grottesco,
imprevedibile e coinvolgente.
La regione, fino a qualche anno prima
governata dai Borbone, vive in uno stato di crisi e di completa confusione,
sottomessa a leggi e norme che mai erano state introdotte prima.
Il popolo siciliano si arrangia come
può, causando non pochi problemi di ordine pubblico e, mentre si fa strada un
sistema di potere politico-economico per controllare e dominare il territorio,
il mondo rurale, le attività, le rendite e la ricchezza, la corruzione inizia,
in parallelo, il suo cammino.
Si
delinea una specie di Far West, si consolida una mafia ante litteram, fenomeno
in via di definizione, che non ha una lunga storia alle spalle e non ha ancora
raggiunto a una precisa fisionomia. Dove, però, i cattivi spadroneggiano con
violenza e prepotenza, hanno gioco facile ed eludono l’ordine e la legge.
Arrivato a Vigata, l’ispettore scopre
che entrambi i suoi predecessori sono morti misteriosamente e non tarda a capirne
il motivo: i mulini e la produzione del macinato sono regolati da un apparato
criminale ben organizzato, che permette ai vari mugnai di evadere l’odiata
imposta sul macinato, detta anche “tassa sul pane”.
Il sistema troverà il modo di
incastrarlo, accusandolo di omicidio. L’unico modo per salvarsi sarà quello di
sfruttare la “mossa del cavallo”, quella più imprevedibile sulla
scacchiera: cioè dovrà imparare a pensare e parlare il dialetto come i suoi
nemici, scoprire
come ragionano, per
riuscire a smascherarli.
Teatralità, gestualità, mimica e
dialoghi surreali e strampalati quanto basta, in un dialetto declinato
fra mille pause, battute e peculiari sfumature, vivacizzano l’intera narrazione.
Precisi tutti i personaggi, caratterizzazioni
tipiche e anche pittoresche, perfetta l’ambientazione,
in vero stile western, con cavalli, tanta polvere, stivali, sparatorie e un
velato accenno di erotismo: tutto pensato, previsto e immaginato nella geniale testa
di Andrea Camilleri che, ancora una volta, e pur senza Montalbano, ci regala un
mondo di emozioni e di magia, coniugando, in un
sol tempo, smisurata fantasia e semplice realtà.
28
febbraio 2018 (Alfredo Laurano)
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