I personaggi televisivi che, più o meno quotidianamente e a vario titolo, entrano nelle case e tra le cose di tutti, diventano spesso amici, parenti, persone di famiglia, in appuntamenti fissi e attesi. Ma solo quelli buoni, quelli amabili, quelli sinceri o, almeno, quelli che così sono spontaneamente percepiti. Come, allo stesso modo, vengono avvertiti, malvisti e rifiutati quelli più odiosi, saccenti, miserabili e volgari: un nome a caso? Provate a immaginarlo, non voglio inquinare questa pagina d’amore.
Il pubblico sa scegliere e non sbaglia mai, le sue sensazioni trovano sempre conferma.
E’, comunque, questa una delle caratteristiche principali della televisione, del suo potere persuasivo e del suo ruolo magico e seduttivo, che svolge per definizione, pur orientando e condizionando, nel bene e nel male, idee, scelte, reazioni, giudizi e pregiudizi.
E quegli amici buoni, quei simboli
puntuali e sempre uguali, svolgono una funzione delicata: sostituiscono chi
manca, fanno compagnia a chi è solo, a chi è malato. Sono mediaticamente eterni
e invulnerabili, non possono invecchiare, non devono e non possono scomparire,
come o quasi per dispetto.
Eppure Fabrizio Frizzi se ne è andato,
all’improvviso, spegnendo un fitto dialogo a livello nazionale, un rapporto
popolare che sembrava non dovesse mai finire. La malattia, veloce e
inesorabile, l’ha vinto.
La scomparsa dell’amico gentiluomo
della TV pubblica ha provocato stupore e sofferenza vera in tutto il Paese: le
cronache di questi giorni lo hanno ampiamente documentato.
Mai vista tanta partecipazione
popolare, tanto dolore collettivo, tanta gente piangere, anche per strada.
Mai vista tanta solidarietà e
condivisione che ha trasformato una immensa folla anonima in un popolo partecipe,
turbato e attraversato da vibranti, autentiche emozioni.
Mai era successo prima.
Ma, nello stesso tempo, l’addio di
Fabrizio ha prodotto anche un fenomeno imprevisto e straordinario, ha innescato
un fragoroso effetto collaterale, stavolta incredibilmente positivo: quello di
aver rilanciato il giusto concetto di umanità, di aver consentito il riscatto
dei buoni sentimenti e il diritto a riappropriarsene, senza vergognarsi e senza condizioni, di aver
fatto ritrovare una voglia di normalità,
grazie all'affetto infinito di tanta gente comune che lo ha sentito vero e
semplice, che ha ripagato la sua generosità, il suo garbo, il suo stile
rispettoso, il suo essere se stesso. A volte è vero che ciò che dai, ti torna.
Inaspettatamente, è scaturito nella
coscienza collettiva un bisogno d’amore, di pace e di bontà, che in questa
società che non ha tempo, che corre, che insegue miti e varie forme di
prestigio e di egoismo, avevamo quasi dimenticato.
E’ stato come riscoprire un mondo
emarginato di valori semplici e genuini, già sopraffatto da
forme varie di malvagità, di odio e indifferenza, in ogni settore, ad ogni livello.
forme varie di malvagità, di odio e indifferenza, in ogni settore, ad ogni livello.
Dalla notizia delle sette di mattina
dello scorso lunedì, fino ai funerali e all’ultimo viaggio a Bassano Romano di
oggi, passando per l’ospedale S. Andrea, per la camera ardente della RAI di
viale Mazzini e per le tante parole e pensieri di chiunque. Ovunque, sullo sfondo
di una struggente malinconia, migliaia e migliaia di persone a testimoniare
gratitudine e partecipazione.
E nemmeno sui social, come sempre
accade, sono apparse critiche e commenti impropri del solito esercito di
imbecilli, privi di etica e coscienza.
La stessa Rai, tradendo forse un
qualche latente senso di colpa (soprattutto, quello di alcuni suoi superati
burocrati, non sempre immuni da scelte ipocrite e formali nei confronti di
Fabrizio) ha voluto o forse dovuto celebrarlo in lungo e in largo, con
speciali, dirette, ricordi, trasmissioni e in ogni modo, sconvolgendo i
palinsesti, per assecondare la volontà di un popolo commosso e assai provato.
Ma lui, il ragazzo buono, generoso e
dal sorriso vero, lo meritava in ogni caso.
E la sua piccola Stella, crescendo,
orgogliosamente, lo saprà.
28 marzo 2018 (Alfredo Laurano)
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