giovedì 29 marzo 2018

PERCHE’ TANTA COMMOZIONE

I personaggi televisivi che, più o meno quotidianamente e a vario titolo, entrano nelle case e tra le cose di tutti, diventano spesso amici, parenti, persone di famiglia, in appuntamenti fissi e attesi. Ma solo quelli buoni, quelli amabili, quelli sinceri o, almeno, quelli che così sono spontaneamente percepiti. Come, allo stesso modo, vengono avvertiti, malvisti e rifiutati quelli più odiosi, saccenti, miserabili e volgari: un nome a caso? Provate a immaginarlo, non voglio inquinare questa pagina d’amore.
Il pubblico sa scegliere e non sbaglia mai, le sue sensazioni trovano sempre conferma.
E’, comunque, questa una delle caratteristiche principali della televisione, del suo potere persuasivo e del suo ruolo magico e seduttivo, che svolge per definizione, pur orientando e condizionando, nel bene e nel male, idee, scelte, reazioni, giudizi e pregiudizi.

E quegli amici buoni, quei simboli puntuali e sempre uguali, svolgono una funzione delicata: sostituiscono chi manca, fanno compagnia a chi è solo, a chi è malato. Sono mediaticamente eterni e invulnerabili, non possono invecchiare, non devono e non possono scomparire, come o quasi per dispetto.
Eppure Fabrizio Frizzi se ne è andato, all’improvviso, spegnendo un fitto dialogo a livello nazionale, un rapporto popolare che sembrava non dovesse mai finire. La malattia, veloce e inesorabile, l’ha vinto.
La scomparsa dell’amico gentiluomo della TV pubblica ha provocato stupore e sofferenza vera in tutto il Paese: le cronache di questi giorni lo hanno ampiamente documentato.
Mai vista tanta partecipazione popolare, tanto dolore collettivo, tanta gente piangere, anche per strada.
Mai vista tanta solidarietà e condivisione che ha trasformato una immensa folla anonima in un popolo partecipe, turbato e attraversato da vibranti, autentiche emozioni.
Mai era successo prima.
Ma, nello stesso tempo, l’addio di Fabrizio ha prodotto anche un fenomeno imprevisto e straordinario, ha innescato un fragoroso effetto collaterale, stavolta incredibilmente positivo: quello di aver rilanciato il giusto concetto di umanità, di aver consentito il riscatto dei buoni sentimenti e il diritto a riappropriarsene,  senza vergognarsi e senza condizioni, di aver fatto  ritrovare una voglia di normalità, grazie all'affetto infinito di tanta gente comune che lo ha sentito vero e semplice, che ha ripagato la sua generosità, il suo garbo, il suo stile rispettoso, il suo essere se stesso. A volte è vero che ciò che dai, ti torna.
Inaspettatamente, è scaturito nella coscienza collettiva un bisogno d’amore, di pace e di bontà, che in questa società che non ha tempo, che corre, che insegue miti e varie forme di prestigio e di egoismo, avevamo quasi dimenticato.
E’ stato come riscoprire un mondo emarginato di valori semplici e genuini, già sopraffatto da
forme varie di malvagità, di odio e indifferenza, in ogni settore, ad ogni livello.
Dalla notizia delle sette di mattina dello scorso lunedì, fino ai funerali e all’ultimo viaggio a Bassano Romano di oggi, passando per l’ospedale S. Andrea, per la camera ardente della RAI di viale Mazzini e per le tante parole e pensieri di chiunque. Ovunque, sullo sfondo di una struggente malinconia, migliaia e migliaia di persone a testimoniare gratitudine e partecipazione.
E nemmeno sui social, come sempre accade, sono apparse critiche e commenti impropri del solito esercito di imbecilli, privi di etica e coscienza.

La stessa Rai, tradendo forse un qualche latente senso di colpa (soprattutto, quello di alcuni suoi superati burocrati, non sempre immuni da scelte ipocrite e formali nei confronti di Fabrizio) ha voluto o forse dovuto celebrarlo in lungo e in largo, con speciali, dirette, ricordi, trasmissioni e in ogni modo, sconvolgendo i palinsesti, per assecondare la volontà di un popolo commosso e assai provato.
Ma lui, il ragazzo buono, generoso e dal sorriso vero, lo meritava in ogni caso.
E la sua piccola Stella, crescendo, orgogliosamente, lo saprà.
28 marzo 2018 (Alfredo Laurano)



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