Aveva solo 38 anni, Marielle Franco, militante per i Diritti Umani e giovane consigliera del Partito socialismo e libertà (Psol), uccisa con il suo autista in un agguato in pieno giorno, mentre rientrava nella sua casa, in un agglomerato di favelas a Rio de Janeiro, dove vivono almeno 130mila persone. Stava tornando da un evento in sostegno delle giovani donne nere e contro la violenza quando è stata giustiziata con quattro colpi di pistola alla testa: una vera esecuzione.
Era un’attivista molto apprezzata,
diventata portavoce delle persone svantaggiate che vivono nelle fatiscenti
baraccopoli, costruite con materiali di scarto e di risulta, dove abita quasi
un quarto della popolazione di Rio de Janeiro e dove i servizi pubblici sono
inesistenti: mancano strade, scuole, una rete idraulica, l’elettricità e i
servizi sanitari.
Le favelas sono ghetti di miseria e di
violenza, simbolo della tremenda sproporzione di ricchezza tra i cittadini
brasiliani, dove lo stato non esiste.
Quei
territori sono quasi sempre gestiti da narcotrafficanti che comandano a proprio
piacimento e sostituiscono in toto l’amministrazione statale: danno cibo e
lavoro, decidono cosa è permesso e cosa no e, spesso, anche chi può entrare e
chi no. Un luogo dove la povertà strisciante,
la brutalità della polizia e le sparatorie tra le bande che controllano il
traffico di droga sono all’ordine del giorno.
Negli
hotel e nelle agenzie, vengono proposti agli stranieri i Favela tour, vere e proprie visite turistiche,
dove con un pulmino si viene portati in giro per una favela, per scattare foto
e fare degli acquisti. Si paga per fare un tour della povertà.
Come scrive l’Internazionale, Marielle
era donna, di sinistra, femminista, nera, lesbica, sociologa. E si batteva
contro tutto questo.
Il Brasile è tra i paesi più violenti
del mondo e di solito un singolo omicidio non fa notizia, ma l’uccisione di
Marielle, che da anni denunciava le violenze e gli abusi commessi dalla polizia
militare nelle favelas di Rio, è un fatto grave che per molte ragioni ha avuto
una risonanza forte non solo nel Paese, ma anche all’estero.
Centinaia di migliaia di brasiliani
sono scesi in piazza in molte città, il giorno successivo alla sua morte.
Amnesty International ha chiesto al governo un’inchiesta adeguata, parlando di
“un omicidio mirato” che ha messo in evidenza i pericoli a cui vanno incontro i
difensori dei diritti umani in Brasile.
Pochi giorni prima, Marielle,
riferendosi a un giovane assistente di una chiesa evangelica ucciso dalla
polizia, aveva scritto in un tweet:
“Quante altre persone dovranno morire prima che questa guerra finisca?”
Intanto
è toccato a lei. (Alfredo Laurano)
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