martedì 6 marzo 2018

PRIMA O POI, FORSE LASCIO, FORSE NO


Mi dimetto, anzi no, anzi forse, ma non subito, non per ora.
Il pallonaro fiorentino colpisce ancora, anziché essere colpito. E con la consueta arroganza, la proverbiale faccia tosta.
Non una sola parola sulle sue colpe e sui suoi errori, senza nemmeno chiedersi perché il Pd si sia sbriciolato. Ha attribuito tutta la responsabilità della sconfitta ad altri, agli italiani che si sono fatti abbindolare, ai dissidenti, ai suoi compagni di partito ed ex.
E con la stessa aria di sempre, inadeguata, per niente sommessa e consapevole, come il momento della batosta, storica e sonante, avrebbe richiesto. Con la solita faccia da bullo e il tono da guappo, sprezzante, irridente e per niente pentito, capace ancora di fare ironia, lanciare battute e ridicoli calembour. Come se non fosse successo niente, come se lui fosse lì di passaggio a rimirar lo scempio.
Una sortita penosa e teatrale, degna dell’avanspettacolo raccontato da Fellini, tra fischi, invettive e lancio di gatti morti contro il commediante.

In pratica, dimissioni sì, ma congelate. Fino al nuovo governo o a nuove elezioni.
In altre parole, Renzi annuncia che, prima o poi, se ne andrà, ma per il momento rimarrà alla guida del partito, per condizionare le fasi nel prossimo passaggio istituzionale, le soluzioni dell’immediato futuro e le prossime scelte del capo dello stato, a cui ha rivolto anche un'implicita critica: l’errore di non aver mandato il Paese al voto, dopo le sue dimissioni da Presidente del Consiglio.
Nel partito esplode il malcontento. "La decisione di Matteo Renzi di dimettersi e contemporaneamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile. Serve solo a prendere ancora tempo. Le dimissioni di un leader sono una cosa seria, o si danno o non si danno, senza calcoli e manovre” (Zanda).
Stessa posizione da parte di altri esponenti del partito, come Anna Finocchiaro e Cuperlo e, soprattutto da Orlando che con durezza dice:
"Di fronte alla sconfitta più grave della storia della sinistra italiana del dopoguerra, mi sarei aspettato una piena assunzione di responsabilità da parte di un segretario che ha potuto definire, in modo solitario, la linea politica, gli organigrammi e le candidature. Invece siamo alla ormai consueta elencazione di alibi e all'individuazione di responsabilità esterne. Ci ha condotto alla sconfitta e oggi si riserva il compito di affrontare, senza nessuna autocritica, questa travagliatissima fase per il Pd e per il Paese”.

Insomma, una sorta di ricatto, dopo la disfatta, in attesa che passi la nottata e la tempesta: finge di dimettersi e prende in ostaggio il partito, con la scusa di essere l'unico garante del “non inciucio”. Un gioco di furbizia e di retorica per continuare a tenere il banco, almeno fino al prossimo congresso. Poi, si vedrà.
Ma sarebbe bastato, semplicemente, non annunciare le dimissioni. Chi l’ha costretto?
Il suo inconfessato senso di colpa?
O quella forma di comunicazione, strategica e manipolatoria, che da sempre usa per pararsi il cu…ore, ma che offende le persone?
6 marzo 2018 (Alfredo Laurano)

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