Oltre alle tante tragedie della follia
e della malvagità umana - anche in questi giorni, raccontate e approfondite dalla
cronaca - ci sono quelle della disperazione. Dell’angoscia e dell’intimo
tormento.
Quelle che sembrano non dipendere da
una decisione, assurda, egoistica e cattiva, ma da una necessità ineluttabile,
dalla rottura di un sottile equilibrio che sconvolge i ritmi e il senso della
vita e della preziosa voglia di viverla.
Quelle che generano nell’opinione
pubblica un sentimento di profonda empatia e di tristezza. Come, peraltro, è
stato anche per quella, naturale e non scaturita certo da una scelta, del
giovane calciatore della Fiorentina, che ha commosso tutti.
Quelle
che si realizzano quando si perde ogni speranza, quando si è avvolti da una
sensazione di vuoto interiore, dal pensiero che non sia rimasto nulla attorno a
noi, che tutti i nostri sforzi siano ormai vani. Quando non si ha più la forza
di andare avanti nella quotidianità e di affrontare uno spaventoso futuro.
Come
nei versi del “male di vivere” di Eugenio Montale, dove traspare la concezione
negativa della vita e la impossibilità di trovare rimedi e soluzioni.
A Rivoli, un settantasettenne uccide la
madre ultracentenaria e poi si spara.
In una lettera, spiega il suo gesto
estremo: la scoperta di avere un tumore al pancreas e le conseguenti difficoltà
del male non gli avrebbero consentito di occuparsi della vecchia donna. Chi l’avrebbe
assistita, senza di lui?
A Torino un caso analogo: il marito
ottantenne, ex partigiano, spara alla moglie di pochi anni più giovane, malata
di Alzheimer, e poi si è uccide.
Li hanno trovati seduti sulle loro
poltrone, uno accanto all'altra.
Abbandonati al dolore, privati della
vita, per smettere di soffrire.
(Alfredo Laurano)
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