lunedì 12 marzo 2018

MALVIVERE


Oltre alle tante tragedie della follia e della malvagità umana - anche in questi giorni, raccontate e approfondite dalla cronaca - ci sono quelle della disperazione. Dell’angoscia e dell’intimo tormento.
Quelle che sembrano non dipendere da una decisione, assurda, egoistica e cattiva, ma da una necessità ineluttabile, dalla rottura di un sottile equilibrio che sconvolge i ritmi e il senso della vita e della preziosa voglia di viverla.
Quelle che generano nell’opinione pubblica un sentimento di profonda empatia e di tristezza. Come, peraltro, è stato anche per quella, naturale e non scaturita certo da una scelta, del giovane calciatore della Fiorentina, che ha commosso tutti.
Quelle che si realizzano quando si perde ogni speranza, quando si è avvolti da una sensazione di vuoto interiore, dal pensiero che non sia rimasto nulla attorno a noi, che tutti i nostri sforzi siano ormai vani. Quando non si ha più la forza di andare avanti nella quotidianità e di affrontare uno spaventoso futuro.
Come nei versi del “male di vivere” di Eugenio Montale, dove traspare la concezione negativa della vita e la impossibilità di trovare rimedi e soluzioni.

A Rivoli, un settantasettenne uccide la madre ultracentenaria e poi si spara.
In una lettera, spiega il suo gesto estremo: la scoperta di avere un tumore al pancreas e le conseguenti difficoltà del male non gli avrebbero consentito di occuparsi della vecchia donna. Chi l’avrebbe assistita, senza di lui?
A Torino un caso analogo: il marito ottantenne, ex partigiano, spara alla moglie di pochi anni più giovane, malata di Alzheimer, e poi si è uccide.
Li hanno trovati seduti sulle loro poltrone, uno accanto all'altra.
Abbandonati al dolore, privati della vita, per smettere di soffrire.
(Alfredo Laurano)

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