domenica 18 dicembre 2016

LUPA CAPITOLINA

Siamo da tempo un popolo di indagati e la media è alta e impressionante: almeno uno al giorno, in tutt’Italia, isole comprese. Per non dire dei sospettati, degli arrestati, degli imputati, dei salvati dall’immunità e dei condannati. 
A Milano, stavolta tocca al sindaco Sala per fatti d’Expo, a cose abbondantemente fatte, concluse e demolite. E lui, udite, udite, si sospende da se stesso! 
A Napoli, il padrino De Luca è indagato per scambio di fritture: di calamari e gamberi con quelle di paranza. Non erano fresche, non erano croccanti! 
A Roma, dopo la telenovela e le recenti dimissioni della assessora Muraro, indagata per reati ambientali, hanno arrestato Marra, capo del personale del Comune e uomo per tutte le stagioni, voluto e strenuamente difeso dalla sindaca Virginia Raggi, ad oggi non ancora indagata, ma forse manca poco. 
E questo colpisce molto. 

In questi pochi mesi di stellati al governo della città eterna, sono accadute poche cose sul piano gestionale e amministrativo, ma tantissime su quello dei ruoli e delle competenze. 
Se ne sono andati giorni, notti e lunghe settimane fra scelte, nomine, chiacchiere, rinunce e “aspetta un attimo”, senza praticamente fare una mazza o una mazzetta, o risolvere un problema uno.
Assessori e consiglieri che hanno abbandonato e rimesso il proprio mandato (come il capo di gabinetto, l’assessore al Bilancio, il Ragioniere generale): per inadeguatezza, per timore, per incapacità, per non essere coinvolti o perché ci hanno ripensato? Vertici e presidenti di grandi aziende municipalizzate (Ama, Atac) che hanno passato la mano, tante rinunce a incarichi prestigiosi. Tutti per non esser contaminati dal valore dell’onestà e dalla voglia di cambiare? 

Una Giunta che ha perso e perde pezzi di continuo. Forse è arrivato il momento di chiarire le priorità e gli obiettivi che intende perseguire in una città devastata e incattivita, ma resiliente come Roma. E’ il momento della logica e della buona amministrazione, delle competenze e delle aspettative politiche e sociali, se si vuole uscire dal buio tunnel dell’approssimazione e della corruzione, in cui l’hanno infilata le amministrazioni precedenti e gli interessi dominanti. Occorre discontinuità, coraggio e scelte conseguenti. 

Viene da chiedersi, ma è tutta colpa di un ineluttabile destino? 
Sul Campidoglio incombe una sorta di maledizione o di vendetta di mafia capitale o la Virginia è solo incompetente o tanto sfortunata? O pensava che governare una città come Roma fosse una passeggiata di salute o come amministrare un grosso condominio popolare? 
Dà l’impressione di essere una specie di Alice nel paese delle meraviglie che prende tempo per guardarsi intorno, per stupirsi e per stupire, per capire e scoprire a fondo, per studiare da sindaco, prima di fare, decidere e programmare. E, ogni mattina che arriva davanti al Foro Romano e al Marcaurelio, non sa mai chi troverà negli uffici, nel Consiglio o nella sua segreteria, chi si è defilato, chi s’è messo in malattia…chi è finito al gabbio o è inquisito. 

Siamo al paradosso della stellata lupa capitolina. Vive ormai di auspici e di speranza e fa pure una certa tenerezza. Per la cronaca e per i più giovani, fino al 1970, una lupa vera, incerta, titubante, nonché simbolo della città, è stata esposta per decenni in una gabbia, sotto il Campidoglio, ed era un’attrattiva per romani e pellegrini, che la visitavano regolarmente. Da bambino, l’ho vista molte volte. 

Ma, intanto, i problemi della città restano, crescono e la gente che l’ha scelta e votata con fiducia si incazza, fra rabbia e delusione. E ne soffre tutto il movimento che, in qualche modo, dovrà intervenire prima di perdere consensi e appeal. Forse, a cose fatte, l’ingenua, esitante e poco concreta Virginia - che si affanna a difendere sempre le persone sbagliate, (forse perché fa l’avvocato) - non era molto adatta alla difficile funzione, al di là dell’inesperienza e della giovane età. Anche perché onestà non fa sempre rima con capacità.

Magari uno come il riflessivo Fico o come il guascone Dibba, nonostante le sue spesso noiose litanie, i suoi toni da piazza del candore e le predicazioni alla luna del rigore e della trasparenza, ormai scontate e ripetitive, avrebbero fatto meglio, almeno sul piano della grinta e della determinazione. 
Magari, un’altra volta. (Alfredo Laurano)

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