Aveva ragione quel mio amico siciliano che, già molti anni
fa, lo chiamava, con disgusto, con disprezzo o forse solo con ironia (fate
vobis): “Montecicoria”.
Una specie di grande mercato rionale, dove ognuno strilla,
esalta le proprie produzioni, la propria merce, le proprie primizie, sempre di
stagione. Magari, a prezzi stracciati.
Ormai, negli emicicli parlamentari, le nuove piazze del
confronto, succede di tutto e nessuno se ne meraviglia più.
Quando non è o non si fa vero mercato, l’aula magna delle istituzioni
- che fu di Matteotti, di Nenni, di Togliatti, di De Gasperi, di Moro e
Berlinguer - si trasforma in un gigantesco talk show dove, impugnando tablet e
telefonini, cartelli e magliette, pesci e mortadelle, cappi e bandierine, si
urla, si attacca, si insulta, si offende o si aggredisce fisicamente
l’avversario. Anche con colpi proibiti, gesti osceni, volgarità e deputate
insolentite.
Come ormai si fa per prassi sui Social e sul Web: un
grande, totale casino mal governato da tenutarie e commessi, privati d’autorità
e ruolo.
Marchettari a ruota libera, senza l’obbligo di rispetto ed
etichetta.
Come la rissa di pochi giorni fa che ha contrapposto
coltivatori democratici a ortaroli leghisti, con ambientalisti stellati
equidistanti e imbarazzati, a completare il campo delle biodiversità.
Una minoranza - per ora, ma solo per ora - di populisti e
sovranisti legamelonisti in grado di catapultare l’Aula, di assaltare la
diligenza (presidenza), come si è visto in occasione della gazzarra gratuita
sul Mes, nemmeno poi così dirimente e lacerante.
Ma comunque una minoranza che, ipotizzando realisticamente
nuovi numeri vincenti, scaturiti dalle prossime e sempre più vicine elezioni,
porterebbero davvero Montecicoria a diventare un “bivacco di manipoli”, come
disse Mussolini, in un famoso discorso alla Camera del novembre 1922.
Insomma, scene e prove tecniche di un Parlamento a
maggioranza fascio-leghista prossimo venturo, che evoca fantasmi del passato.
Oppure - e questo è il risvolto più ridicolo e patetico,
che neanche Ingmar Bergman o Louis Bunuel avrebbero potuto immaginare - nella
stessa aula istituzionale va in onda la pietosa scena comica dell’innamorato
onorevole leghista che chiede inopinatamente alla fidanzata, presente in
tribuna: Elisa, mi vuoi sposare?” Con tanto di anello tirato fuori
dall’astuccio. Mancavano solo i violini
Un’altra trasmissione nel palinsesto assai generalista
della politica nostrana, che in quel ring si dimena tra farsa e tragedia, tra
giostra e bordello, tra gossip e galli da combattimento, alla ricerca di una
dimensione vera e di una identità ormai senza valori.
1° dicembre 2019 (Alfredo Laurano)
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