mercoledì 15 novembre 2017

LACRIME, SIMBOLI E (S)VENTURA

“Francamente me ne infischio”, dice Rhett Butler (Clark Gable) nel film Via col vento, alla fine di giochi d’amore con Rossella.
Parafrasando, il problema non è gioire o soffrire per essere usciti da un Mondiale di calcio, di cui a molti non frega niente. Quando sbagliamo, cadiamo, falliamo, è sempre necessario capire perché e cosa fare per rialzarsi e ripartire. 
E questo vale sempre e in tutti i momenti e aspetti della nostra vita: dalla politica allo sport, dallo studio al lavoro, dall’amore all’amicizia, dal successo alla débâcle, dalla polvere agli altari. E il calcio, come la politica e tutte le altre manifestazioni umane, è uno dei tanti specchi della società che lo produce. 
Non ha, quindi senso, anche se semanticamente comprensibile, ricorrere al gergo bellico, per parlare di disfatta, di disastro, di catastrofe, di (s)ventura.

Mi sembra ingiusto e ingeneroso, però, cara amica Giulia, accostare le lacrime di Buffon (e non solo sue) a quelle della Fornero: lui non ha fatto male agli italiani anzi, al contrario - lo testimonia la sua carriera e il suo limpido comportamento - ha regalato sogni, speranze ed esempi di lealtà. 
L'ho conosciuto per un intervista quando è arrivato in nazionale e, anche se di sponda diversa dalla mia, l'ho apprezzato e stimato subito come uomo e calciatore. 
Non ce ne sono molti come lui e il suo pianto, l’altra sera, era sincero e di dolore. Per sé, per i suoi compagni più giovani o più anziani, per essere uscito in quel modo assurdo da quella maglia, e dall'ultimo mondiale, che avrebbe meritato e disputato, non per sua colpa ma per inadeguatezza e incapacità altrui. 

Non voglio entrare nei tecnicismi ma, come ho scritto stamattina, il calcio non è soltanto un gioco in mutande e col pallone, è un modo d’essere, di comunicare, di condividere passioni ed emozioni; una risorsa collettiva capace di far dimenticare problemi e situazioni difficili e personali, di far vivere socialmente un confronto di storie e campanili, di rappresentare una comunità e una nazione, con i suoi tanti vizi e le sue poche virtù. 
Ma è anche, qualcosa che coltiva e propaga, almeno in teoria e sulla carta, principi e valori sani, come la forza d’animo, la lealtà, il sacrificio, il rispetto, l’amicizia. Soprattutto ai giovani e ai bambini, che si identificano in un simbolo, nel campione, nella squadra del cuore, nei propri colori e crescono sani, lontano dalle brutture della società. 

Perché il tifo, al di là degli snobismi di maniera, degli atteggiamenti di distaccata superiorità o sufficienza, della ostentazione di presunta distinzione o raffinatezza, non è una malattia, ma un modo naturale e inclusivo di partecipazione, una manifestazione di solidarietà e di empatia sportiva.
Nell'antica Grecia le gare, che erano considerate sacre, si tenevano in onore degli dei perché esaltavano le migliori qualità umane.

In ultimo, anche se questo è un aspetto diverso e di altra natura, riferito al contesto economico del Paese, non si può certo parlare di soldi risparmiati, ma di soldi persi e buttati, calcolati dagli esperti intorno ai cento milioni di euro.
L’eliminazione dall’Italia penalizza tutti: la Federazione, gli sponsor, le aziende coinvolte a vario titolo, i premi tassati, i partner commerciali e ancora di più la Fifa e il Mondiale stesso, che, senza gli azzurri sarà più povero, non solo di storia, ma anche di denaro, soprattutto quello dei diritti TV, della mancata pubblicità, delle scommesse sportive e del merchandising di ogni genere (maglie, divise, gadget, pubblicazioni ecc.). 
Insomma, un vero disastro sotto tutti i punti di vista, senza dimenticare la delusione dei bambini di cui parlavo prima, privati di uno spettacolo atteso e vibrante, da vivere in famiglia, con genitori e amici. 
Ma anche quella di tifosi e sportivi, che son partiti da tutt'Italia, che hanno riempito ieri uno stadio, interamente tricolore, e cantato l'inno nazionale, fino alla fine, per spingere e incoraggiare i calciatori in campo. 
Anche per loro, e per buona parte degli italiani, non ci saranno, come sempre, cene e incontri collettivi nelle case, per tifare insieme una squadra che non c'è più. 
E non solo in senso sportivo. 
 (Alfredo Laurano)



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