martedì 7 novembre 2017

LA MICCIA

Centodieci, più la lode, più l’applauso accademico, più il ringraziamento e il riconoscimento alla famiglia, più il poco solenne giuramento di Ippocrate: c’è qualcosa di stonato, di poco naturale e poco etico nel conferimento della laurea a Martina Ciontoli, in Scienze Infermieristiche.
Qualcosa che ha fatto infuriare e inorridire tutti quelli che hanno visto quelle immagini, che hanno percepito e non condiviso quel clima festoso, quegli abbracci, quei momenti di gioia mostrati dal video di Quarto Grado.
Qualcosa di finto, di forzato e di appagante nello stesso tempo, sullo sfondo incancellabile di una colpa grave - quasi dimenticata, o quanto meno rimossa dagli eventi - che ha scatenato le reazioni più decise e più indignate, le critiche più aspre, il fastidio a pelle e gli anatemi di chi, istintivamente, non può prescindere, non può dimenticare l’altro lato e l’altra brutta faccia della storia di quella ambigua famiglia.

Una vera miccia, quel video, che non poteva non far esplodere ancora la rabbia e il risentimento contro i responsabili della morte di Marco.
Che non poteva non provocare un’altra ondata di sdegno e di disgusto in tutti quelli che da sempre seguono, con trepidazione, questa allucinante vicenda e sostengono, come possono, la famiglia della giovane vittima, uccisa, quanto meno, dalla superficialità e dalla inettitudine.

Ma, pur comprendendo lo stupore, la sorpresa, la giusta indignazione, la reazione profondamente umana di ciascuno - c’è chi propone che la laurea le venga annullata, che sia radiata prima di cominciare a lavorare, che sia emarginata dalla società e amenità di questo genere - dobbiamo prendere atto con lucida consapevolezza che la laureanda Ciontoli non è stata ancora condannata e che tutto quello che il video ha mostrato è perfettamente legittimo e normale, anche se ne percepiamo la distonia e l’inadeguatezza.

Anche se a tutti noi appare assurdo e paradossale, Martina, al momento, è ancora una libera cittadina, libera di studiare, di lavorare, di laurearsi e anche di festeggiare, dopo essere stata già libera, purtroppo, di lasciar morire Marco, insieme alla sua sciagurata famiglia.
Dobbiamo accettare le garanzie di un sistema giudiziario che deve appunto applicare le leggi e fare giustizia e non vendette personali o di gruppo. Dobbiamo prendere atto che le nostre umanissime reazioni, le nostre naturali sensazioni e i nostri sentimenti non hanno la facoltà di emettere sentenze, se non quelle dell’istinto o del buon senso che, tuttavia, non fanno giurisprudenza.
6 Novembre 2017 (Alfredo Laurano)

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