venerdì 9 ottobre 2020

PASSATA LA PAURA

Anche settembre se n’è andato, con le sue piogge, il suo freddo improvviso, intenso e inaspettato, con la riapertura delle scuole, con la ripresa forte dei contagi, con la prevista seconda fase in atto della pandemia.
La situazione è di nuovo seria e preoccupante, soprattutto, per ora, nei Paesi intorno al nostro - Francia, Spagna, Gran Bretagna - e in tutto il mondo.
Ma vi ricordate come eravamo, come pensavamo, cosa dicevamo e facevamo pochi mesi fa, tra febbraio e marzo, quando avevamo definitivamente preso atto e coscienza del Coronavirus?
Quando le infezioni si moltiplicavano spaventosamente soprattutto al nord; quando i ricoveri e i decessi crescevano tutti i giorni, anche nelle residenze per anziani; quando gli ospedali e le terapie intensive scoppiavano, insieme a medici, infermieri e personale tecnico-sanitario, definiti eroi.
Quando i troppi morti venivano trasportati da camion militari e smaltiti in altre regioni, lontano dai propri cari e dai parenti. Senza un fiore, un saluto, una preghiera, un funerale,
Quando scuole, fabbriche, negozi, bar, ristoranti, chiese, teatri e luoghi pubblici erano chiusi. 
Quando il lavoro (e lo studio) era diventato tele e si faceva da casa (smart working), a parte quello legato all’emergenza, alla sicurezza, alla produzione e distribuzione alimentare e alla pubblica utilità.
Quando tutto il Paese era chiuso, quando eravamo in totale clausura nelle nostre case e si poteva uscire solo per pisciare il cane o andare a fare la spesa, protetti e bardati nelle lunghe file.
Quando le città, le piazze e le vie erano deserte, silenziose, mute e senza traffico, dando la sensazione, anomala e irreale, di un clima post atomico.
Quando per paura e disperazione cantavamo “Azzurro” ai balconi e alle finestre, riscoprendoci patrioti per forza, con tanto di inno e di bandiere.
Quando dappertutto scrivevamo “Ce la faremo”, “Vinceremo”, “Andrà tutto bene”, tra colorati arcobaleni, bambini icone di speranza, voglia di sopravvivere, di farsi coraggio, di confortarsi a vicenda, di coltivare l’illusione della fratellanza. Non si parlava più di diversi e di migranti. Mai più emarginati.
Prevaleva il bene, la bontà, la solidarietà reciproca, per difendersi e resistere, come in guerra.
E tutti dicevamo: nulla sarà come prima, saremo tutti migliori, meno egoisti e intolleranti, meno malvagi e prepotenti: il mondo sarà diverso, l’amore trionferà.

Ma, appena si sono riaperte le sbarre della clausura, tra maggio e giugno in diverse fasi, tutto è stato velocemente dimenticato. 
Tutto è stato rinnegato, come un particolare momento ipnotico da cancellare in fretta. Tutti in strada, tutti al mare, nelle piazze, nei locali, nonostante le raccomandazioni a non abbassare la guardia e l’attenzione.
Niente mascherine, tanti assembramenti, occasioni di contagio che si sono moltiplicate a vista, complici, soprattutto i soliti complottari e imbecilli negazionisti, che remano contro la prudenza e la razionalità.

E, insieme a tutto ciò, è riapparsa prepotente la cattiveria, la sopraffazione, la crudeltà, la discriminazione, l’egoismo. Si è tornati a uccidere, a far del male, ad aggredire, a consumare ogni forma di stupro e di violenza. 
La vita umana, per molti, ha perso di nuovo quel poco valore che aveva appena ritrovato per il terrore di perderla.
Perché l’uomo è una bestia, nel senso peggiore della parola, e non cambierà mai.
Con il virus o senza virus. 
30 settembre 2020 (Alfredo Laurano)

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