Diceva Enzo Biagi: "Dopo tre apparizioni in video, qualunque coglione che viene intervistato dice la sua e anche quella degli altri".
In questo incredibile Paese delle comiche, chiunque abbia acquisito - nel bene o nel male, per meriti o demeriti, per onore o per infamia - un minimo di popolarità mediatica (accade sempre e con grande facilità) può erigersi a esperto, a luminare, a opinionista o addirittura a maestro di vita, a prescindere dalle sue reali competenze, dalle capacità e dalla propria valenza culturale.
Automaticamente, conquista stima, affidabilità e gratuita considerazione e ottiene il diritto di sparare cazzate in Tv, sul web, sui giornali e di pontificare anche dalle aule universitarie.
E non mi riferisco ai soliti urlatori come Sgarbi, Porro, Giordano e mondezza varia.
In questa finta società dell'apparenza, dove tutto, anche le tragedie fanno spettacolo e producono pubblicità - la più squallida e la più volgare - chiunque può farlo: che sia dotto, preparato, studioso, vuoto a rendere o re degli ignoranti. Diventa, magicamente, attendibile, valente specialista, autorevole docente. Dilaga come un virus l'esibizionismo, il protagonismo, il patologico narcisismo.
E tutti vanno in onda, fanno dirette e video e parlano al popolo e all'universo mondo, come profeti, di scienza e virologia, di complotti e verità proibite, di politica e economia, di etica, estetica e filosofia, ma anche di tarocchi e di cucina.
Anche chi è analfabeta funzionale o totale, a sua insaputa. O si è laureato in tuttologia, in una notte, su WhatsApp o Wikipedia.
7 agosto 2020 (Alfredo Laurano)
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