mercoledì 22 aprile 2020

NOI E GLI ALTRI, PERSONE FORZATAMENTE MODIFICATE /2024


Eravamo per natura animali politici, legati ad una vita comunitaria con gli altri e organizzati nella tipica forma sociale che è la Polis, ultimo gradino dei processi aggregativi: prima c’è il villaggio e prima ancora la famiglia, nucleo naturale di socialità, il cui culmine è appunto nella Polis, quel particolare tipo di città-stato, abitato da una comunità di individui uniti da legami etnici, religiosi, economici, che fu proprio dell’organizzazione greca in età classica.
L’uomo tende quindi ad aggregarsi in modo spontaneo. E non solo per interesse, per esigenze materiali o perché stare insieme è vantaggioso, ma perché è un’attitudine più genetica che ambientale, perché nessuno può fare tutto bene e da solo: è meglio che ciascuno si specializzi in un’attività, in un ruolo.
Lo sosteneva, a ragione, Aristotele: anche se l’uomo avesse tutto ciò di cui ha bisogno e fosse autonomo, tenderebbe lo stesso a vivere insieme ad altri. Vi è una spontanea voglia di stare insieme, di socializzare, di interagire. 
Almeno, così era fino a pochi mesi fa.
Ora, uno stramaledetto Virus ha demolito anche questa predisposizione, questa tendenza, questo modo di vivere e di essere.
Ci ha modificato dentro e nel pensiero. Ci ha riportato ad una sorta di riedizione dello stato selvaggio di “Homo homini lupus”, di hobbesiana e già plautina memoria. Anche se, in verità, nello stato di natura, non regolato da alcuna legge, tale condizione istintuale di egoismo, sopraffazione e sopravvivenza non è mai sparita dal contesto umano, ma solo sopita, rimossa o sublimata in altre forme.

Comunque, filosofia e antropologia a parte, sono già due mesi che non lo facciamo.
Abbiamo dovuto dimenticare, o, meglio, siamo stati costretti a farlo, com’era bello incontrarsi, stringersi la mano, abbracciarci, baciarci, salutarci con affetto. Stare vicini, stare insieme al bar, a pranzo, a cena o in trattoria. Scambiarsi un bocconcino, un pezzo di pizza, di focaccia o di crostata, fra le dita (come faranno in India dove mangiano solo con le mani?). O giocare a carte, far chiacchiere e salotto, uscire per lo shopping, andare al cinema, a teatro, ai concerti e nei musei.
E’ necessario e obbligatorio mantenere le distanze e coprirsi con le mascherine, anche quando in qualche modo si ripartirà, magari fra pannelli in plexiglas, percorsi e numeri chiusi.
Ormai vediamo gli altri come nuovi possibili nemici, come portatori asintomatici di virus, come potenziali untori o killer inconsapevoli, che possono infettarci quando andiamo a far la spesa o in farmacia, o quando ci fanno le consegne a casa. In strada ci spostiamo, ci allontaniamo, cambiamo marciapiede. Reciprocamente, istintivamente.
Sono poche settimane che è così, ma sembrano anni. La normalità, come era intesa nella più recente quotidianità, sembra così lontana e perduta nel tempo.
Il Covid-19 ha stravolto le nostre abitudini, ha drasticamente modificato le nostre priorità e anche la nostra percezione della realtà.
Il mondo, visto dalla finestra di casa, dal monitor del PC o raccontato da stampa e TV ha un aspetto diverso, inquietante, fittizio e anomalo. A volte, tutto sembra finto perché paradossale, come in un reality, una specie di Truman Show al contrario, un incubo perverso, dove appare difficile distinguere la sottile linea tra realtà e finzione,
Questa tragica vicenda segnerà una generazione in modo irreversibile, come è accaduto per i nostri nonni o genitori con la guerra.
Nulla sarà come prima, anche per noi diversamente giovani, se non incontriamo il mostro.
21 aprile 2020 (Alfredo Laurano)

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