Dobbiamo sapere, e far sapere a chi non l’ha ancora
compreso, che quando, prima o poi, si uscirà da questa fase di chiusura
generale di un Paese intero, nulla sarà come prima e le nostre vite dovranno
procedere con estrema cautela.
Dobbiamo prepararci, da subito e per tempo, a un altro modo
di concepire l'esistenza, a tante rinunce, a un altro tipo di scelte e di rapporti
umani. E non sarà affatto facile.
Chi pensa che si potrà tornare a vivere spensierati, come qualche
settimana fa, insegue solo un’illusione. O sta sognando, incalzato da una
sfrenata voglia di normalità, di naturale speranza e di ritrovare abitudini preziose
e mai così rimpiante. Noia e routine comprese.
Perché non potremo abbracciarci e salutarci come prima, non
potremo sederci accanto in pizzeria, al bar o ad un concerto. Né a teatro o
allo stadio. Né in autobus, in metro, su un aereo o su un treno. Né affollarci
e sovrapporci nei negozi, nei mercati e nei centri commerciali. Nelle
fabbriche, negli uffici e nei luoghi di lavoro. Gli assembramenti continueranno
ad essere vietati, dovremo abituarci a non frequentare più tante persone tutte
insieme e a stare molto più tempo a casa.
A scuola, non so proprio come si farà.
A questa grande trasformazione di usi, norme e
comportamenti sociali, dobbiamo far corrispondere un cambio di mentalità, di
impostazione. Dobbiamo ripensarci, riallinearci, rifondarci in una nuova,
quanto difficile consapevolezza, soprattutto psicologica e formativa. E anche la
politica, lo Stato, le istituzioni italiane dovranno pensare ad un nuovo ruolo
pubblico nei confronti dei cittadini.
È questo panorama, questa angosciosa prospettiva, che
attanaglia la mente degli italiani e di tutti gli abitanti dei Paesi colpiti
dal Coronavirus.
L'irruenza con cui questo mostro, subdolo e invisibile, è
entrato nella nostra quotidianità ci induce a credere che un giorno, forse non
tanto lontano, potremo tornare alle nostre vite di prima, velocemente come quando
siamo precipitati in questa crisi.
Purtroppo, non sarà così. Il virus non scomparirà per magia
e ci vorrà molto tempo prima di tornare all’antico, almeno fino a che non
avremo una cura efficace e il vaccino in farmacia. E questo potrebbe richiedere
anche anni.
Come spiega bene l'epidemiologo Pier Luigi Lopalco: “È un virus globale e molto contagioso. Un
virus del genere non si può eliminare dal territorio, ma si può gestire, si può
fare in modo che non faccia troppi danni. Il virus della Spagnola, ad esempio,
ha continuato a girare per decenni, fino all'altro ieri, ma dopo le ondate
tragiche ha continuato a farlo come un virus stagionale, perché la popolazione
umana si è adattata e ha sviluppato anticorpi. Ed è esattamente quello che
succederà con il Coronavirus. La Spagnola fece milioni e milioni di morti ma
era il 1918, oggi è il 2020”.
Intanto, prima di uscire dalla morsa del lockdown, aspettiamo
che la curva dei contagi scenda, che le misure di distanziamento sociale
funzionino, che tutte le strutture sanitarie siano in sicurezza, che il sistema
di sorveglianza territoriale funzioni, che la diagnostica per la rilevazione
precoce dei casi funzioni.
Solo così si può sperare di tornare, in punta di piedi e
senza far troppo rumore, a una parvenza di normalità.
10 aprile 2020 (Alfredo Laurano)
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