domenica 12 aprile 2020

IL MIRAGGIO DEL RITORNO ALLA NORMALITÀ /2014


Nonostante l’ansia sociale e individuale, la propria intima paura e la difficile tenuta psicologica - dopo tante settimane di forzata clausura - abbiamo l’obbligo di essere lucidi, realisti e, soprattutto, razionali. E ciò, vale per tutti, consapevoli o meno, e anche per chi si limita ad obbedire a norme e misure imposte, senza acquisirle completamente, senza interpretarle nel loro significato.
Dobbiamo sapere, e far sapere a chi non l’ha ancora compreso, che quando, prima o poi, si uscirà da questa fase di chiusura generale di un Paese intero, nulla sarà come prima e le nostre vite dovranno procedere con estrema cautela.
Dobbiamo prepararci, da subito e per tempo, a un altro modo di concepire l'esistenza, a tante rinunce, a un altro tipo di scelte e di rapporti umani. E non sarà affatto facile.

Chi pensa che si potrà tornare a vivere spensierati, come qualche settimana fa, insegue solo un’illusione. O sta sognando, incalzato da una sfrenata voglia di normalità, di naturale speranza e di ritrovare abitudini preziose e mai così rimpiante. Noia e routine comprese.
Perché non potremo abbracciarci e salutarci come prima, non potremo sederci accanto in pizzeria, al bar o ad un concerto. Né a teatro o allo stadio. Né in autobus, in metro, su un aereo o su un treno. Né affollarci e sovrapporci nei negozi, nei mercati e nei centri commerciali. Nelle fabbriche, negli uffici e nei luoghi di lavoro. Gli assembramenti continueranno ad essere vietati, dovremo abituarci a non frequentare più tante persone tutte insieme e a stare molto più tempo a casa.
A scuola, non so proprio come si farà.
A questa grande trasformazione di usi, norme e comportamenti sociali, dobbiamo far corrispondere un cambio di mentalità, di impostazione. Dobbiamo ripensarci, riallinearci, rifondarci in una nuova, quanto difficile consapevolezza, soprattutto psicologica e formativa. E anche la politica, lo Stato, le istituzioni italiane dovranno pensare ad un nuovo ruolo pubblico nei confronti dei cittadini.

È questo panorama, questa angosciosa prospettiva, che attanaglia la mente degli italiani e di tutti gli abitanti dei Paesi colpiti dal Coronavirus.
L'irruenza con cui questo mostro, subdolo e invisibile, è entrato nella nostra quotidianità ci induce a credere che un giorno, forse non tanto lontano, potremo tornare alle nostre vite di prima, velocemente come quando siamo precipitati in questa crisi.
Purtroppo, non sarà così. Il virus non scomparirà per magia e ci vorrà molto tempo prima di tornare all’antico, almeno fino a che non avremo una cura efficace e il vaccino in farmacia. E questo potrebbe richiedere anche anni.
Come spiega bene l'epidemiologo Pier Luigi Lopalco: “È un virus globale e molto contagioso. Un virus del genere non si può eliminare dal territorio, ma si può gestire, si può fare in modo che non faccia troppi danni. Il virus della Spagnola, ad esempio, ha continuato a girare per decenni, fino all'altro ieri, ma dopo le ondate tragiche ha continuato a farlo come un virus stagionale, perché la popolazione umana si è adattata e ha sviluppato anticorpi. Ed è esattamente quello che succederà con il Coronavirus. La Spagnola fece milioni e milioni di morti ma era il 1918, oggi è il 2020”.

Intanto, prima di uscire dalla morsa del lockdown, aspettiamo che la curva dei contagi scenda, che le misure di distanziamento sociale funzionino, che tutte le strutture sanitarie siano in sicurezza, che il sistema di sorveglianza territoriale funzioni, che la diagnostica per la rilevazione precoce dei casi funzioni.
Solo così si può sperare di tornare, in punta di piedi e senza far troppo rumore, a una parvenza di normalità.
10 aprile 2020 (Alfredo Laurano)

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