domenica 12 aprile 2020

LA SPADA SULLA TESTA /2016

In Italia, a ieri, 153mila contagiati, ventimila morti. Nel mondo, unmilioneottocentomila contagiati, 109mila morti. Ma tutti sappiamo che questi numeri ufficiali non sono reali e veritieri: vanno moltiplicati almeno per dieci, dicono gli esperti.
Però, continuiamo a dire e a dirci: “Tutto Andrà Bene, Ce la faremo, Vinceremo”: come ai tempi del duce si scriveva sulle case o come si canta nella celebre romanza “Nessun dorma” della Turandot di Puccini.
E lo diciamo senza crederci, perché abbiamo bisogno di speranza, di fiducia e di miracoli, di slogan motivazionali, di incoraggiamento reciproco, di voglia matta di tornare a una quasi impossibile “normalità”.
E questa speranza l’abbiamo disegnata su lenzuola, bandiere e cartoni. L’abbiamo appesa a finestre e balconi, fra pianti, musica e canzoni. L’abbiamo propagata in messaggi della disperazione, da Nord a Sud, su porte e muri delle città.

Sappiamo tutti che nulla sarà più come prima, né, tanto meno, meglio di prima, come, retoricamente, qualcuno vuol farci ritenere o pretende di convincerci, trascinandoci nella pia illusione.
Da un giorno all’altro le nostre vite sono cambiate: la quotidianità, gli spazi, le abitudini, i rapporti, gli orari, le scelte, le priorità. La situazione è degenerata sotto i nostri occhi, ora dopo ora, e già ci ha trasformato.
Ci sentiamo in pericolo e minacciati, quando usciamo, lavoriamo o andiamo a comprare il cibo o in farmacia. Viviamo tutti una specie di vita sospesa, con una spada di Damocle sulla testa, legata solo ad un esile crine di cavallo. Su quale testa si romperà quel filo, a chi toccherà oggi?
Abbiamo capito che le cose non si risolveranno presto, che c’è bisogno di compattarsi, di essere solidali, di affrontare il presente, minuto per minuto, con serietà e responsabilità.

Ma, accanto al pessimismo della ragione, c’è bisogno anche di un po’ di ottimismo della volontà, di tirar fuori la forza residua e l’orgoglio di combattere questo mostro invisibile e spietato. E allora, come nelle favole, ripetiamo ancora: “Tutto andrà bene”, perché è l’unico conforto che possiamo dare, perché abbiamo un cuore grande e ferito, da cui sanguina la paura e l’incertezza.                                                                E perché, a Pasqua, è l’unico augurio che possiamo fare. Almeno fino a quando qualcuno o qualcosa staccherà la spada dal soffitto. 
12 aprile 2020 (Alfredo Laurano)


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