giovedì 7 novembre 2019

LA MARCIA DELLE DONNE IN NERO /1898

In Cile, sembrano tornati i tempi di Pinochet, del golpe militare del 1973, dell’uccisione di Allende, della repressione dei diritti.
Oltre mille donne vestite di nero hanno marciato in silenzio a Santiago: vogliono verità e giustizia per i desaparecidos e le vittime dalla repressione. “Siamo in lutto, continueremo a occupare la strada con i nostri corpi.”
Hanno aperto così la «marcia più grande di tutte» a due settimane dall'inizio delle proteste sociali e politiche nel paese sudamericano, alzando le mani, stringendo fiori bianchi tra le dita e sventolando bandiere del Cile senza colori.
Quella delle Mujeres de Luto, come hanno chiamato la camminata, è stata organizzata per denunciare le violazioni dei diritti commesse dalle forze di sicurezza.
Secondo i dati ufficiali dell’Istituto Nazionale dei diritti umani, organismo indipendente cileno, da quando sono iniziate le proteste, sono 4.271 le persone finite in carcere in tutto il Paese. Le donne sono almeno 656, i feriti ricoverati in ospedale sono 1.305, tra cui 38 manifestanti colpiti con proiettili di ferro e 27 con proiettili di gomma. Si contano oltre 470 adolescenti. E il presidente Pinera, come scrivono sui social: “Fa come Nerone, Santiago brucia e lui mangia la pizza”.

Le testimonianze che arrivano dal Cile, oltre alla criminale repressione poliziesca, parlano di specifiche violenze sessuali nei confronti delle donne arrestate.
Si ripete, come in ogni situazione di guerra e ora in Curdistan, l’antico rito maschile di violentare le donne, come sfregio nei confronti di coloro che contravvengono ad un presunto, quanto antico ruolo “privato” di madri-mogli-sorelle obbedienti e sottomesse al dominio maschile. Ancora una volta, lo stupro diventa un atto di guerra e di annientamento. Segno della paura nei confronti di un corpo, capace di mettere al mondo la vita.

Quelle donne hanno cantato Il diritto di vivere in pace, con una poesia scelta come simbolo delle proteste contro il governo, scritta da Victor Java, cantautore cileno torturato e assassinato dai militari nel 1974.
“Ci continuano a uccidere, anche se siamo in democrazia”, raccontano mentre passano accanto alla Chiesa di San Francesco, la cui facciata è stata ricoperta con le foto dei giovani scomparsi dall’inizio delle manifestazioni. Alcuni corpi carbonizzati sono stati ritrovati in un supermercato saccheggiato.
Torture, sparizioni e stupri, come sotto la dittatura di Augusto Pinochet, che molti cileni, che oggi protestano, hanno vissuto.
Chiedono un’educazione pubblica di livello e che garantisca a tutti le stesse possibilità.
Chiedono un salario minimo, una pensione adeguata. Chiedono di arrivare a un’assemblea costituente, mentre la capitale che è ancora militarizzata, vede le sue strade attraversate dalle camionette o ferme agli angoli dei quartieri centrali. (Alfredo Laurano)

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