venerdì 2 febbraio 2018

BATTAGLIE PERSE

E c’è qualcuno che ancora si lamenta, si dice stanco di tanta inutile retorica, che non ne può più di sentir parlare di olocausto, di nazismo, di persecuzioni e di sterminio. Che non vuole ricordare, né sapere, né studiare il peggior crimine consumato contro un intero popolo, la più atroce infamia di cui si è macchiato l’uomo a livello individuale e collettivo, il più abominevole dei genocidi. 
Perché continuare a tener viva, attraverso racconti, riflessioni, libri, testimonianze, ammonizioni, come abbiamo fatto anche in questi giorni, la memoria di quei fatti ignobili che fanno vergognare tutto il consorzio umano?
Perché continuare a rompere le palle, soprattutto ai giovani, perché sappiano, capiscano, non dimentichino e tramandino la consapevolezza della barbarie?
Perché, per esempio, sul portone d’ingresso della sua officina a Rimini, il titolare ha scritto: “Arbeit macht frei”, ovvero “Il lavoro rende liberi”.
Come è noto, era il motto che sovrastava l’ingresso di Auschwitz e di altri campi di concentramento nazisti, dove furono sterminati milioni di ebrei.
Ma lo scanzonato appositore del cartello ha spiegato di non conoscere il senso storico di quelle parole. “Io del nazismo non so nulla, sono nato nel 1979 e non ho una minima idea di cosa sia stato. Non conosco quella storia, non so dove sia e cosa sia Auschwitz. Quella frase mi piace per il suo significato, penso sia vero che il lavoro rende liberi”.
Beata ingenuità, quanta innocenza in quelle parole!

I casi sono due: costui o c'è, o ci fa.
Oppure, terza e più accreditata ipotesi, è un fascista travestito da cretino che, poi, è quasi una illusoria tautologia, giustificata solo in termini formali.
Ha quasi quarant’anni: non ha mai letto un libro o una riga di enciclopedia, non ha mai visto un film, una fotografia, un programma TV, una figurina o un disegnino, una qualsiasi nota sulla Shoah, dove quella scritta sia mai stata associata a quella tragedia?
Non è ignoranza, è evidente malafede, altrimenti il sempliciotto riminese non avrebbe appeso il cartello con la frase in tedesco, palesando nel gesto, oltre alla bugia, la provocazione. Anche perché sa bene quello che significa e gli piace pure.

Che non sappia nulla dell'olocausto, per quanto improbabile e inverosimile, ci può stare, ma, allora, dove avrebbe preso quella frase? Ovunque l'abbia pescata, nel Web o su qualsiasi pagina, sarà stata contestualizzata, spiegata, riferita a qualcosa.
Tanta disinvoltura è imbarazzante e penosa, quanto la sua ostentata ignoranza, ingiustificata anche come artificio o astuta furberia, che di per sé non è reato, ma colpa grave che offende il buon gusto, il buon senso e la comune intelligenza, non rispetta il dolore degli altri e resta, comunque, l'origine di tutti i mali e nefandezze.
29 gennaio 2018 (Alfredo Laurano)



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