Per fortuna o per cultura, per storia o per destino, non siamo (ancora) come l’America, dove si consuma, di media, una strage al giorno di studenti e professori nei college o nei campus universitari. Nel Colorado, nel Connecticut, in Oregon, in Florida o dove capita.
Nelle nostre scuole, per il momento,
si aggrediscono, si insultano e si picchiano solo gli insegnanti, tutt’al più i
vicepresidi o il personale paradocente, a pugni, calci e costole rotte. Forse
perché le armi, da noi, ancora non si vendono al supermercato o all’emporio
cingalese sotto casa.
Ma non sono sempre o solo gli
studenti a farlo.
Per lo più, i giovanissimi, i
gruppetti e le baby gang ci pensano da soli, reciprocamente, ad esercitare un
po’ di sana violenza, a perseguitare, minacciare, irretire, brutalizzare - in
un solo orrendo neologismo, “stolkizzare” - i loro stessi coetanei, col
bullismo di strada, di classe e telematico. Ricorrendo, cioè, a piccole
vessazioni quotidiane, abusi e prepotenze che, a volte, però, possono
trasformarsi in pericolose azioni di vera infamia e sciacallaggio sociale, con
conseguenze drammatiche e imprevedibili.
Dare libero sfogo alle loro maligne
pulsioni adolescenziali li aiuta a crescere, a farsi i calli e le ossa, a
prepararsi alle regole ciniche della società dei grandi. Una sorta di perfido
tirocinio, di allenamento alle sfide, cruenti e impietose, sul ring della
malvagità globale degli adulti.
Ma, se per caso qualcuno li
rimprovera, li invita a rispettare gli altri o si permette di ricordare le
regole di civile convivenza in una comunità, per loro conto e a loro immediata
difesa, si ergono, infatti, con arroganza barbara, i propri padri paladini,
gravemente offesi nel ruolo e nell’onore, come accadeva un tempo per corna e i
tradimenti. Prodi cavalieri senza macchia e senza paura, pronti a lavar col
sangue colpe, vergogna e disonore.
Tutti ricordiamo che, in questi casi
e in epoca non lontana, tornati a casa si prendevano sberle e resto dai
genitori, per aver solo risposto con poco rispetto al maestro o al professore.
Per mia fortuna, ho fatto questo nobile e difficile mestiere per pochi anni e,
soprattutto, molto tempo fa.
Le motivazioni delle tante
aggressioni a danno di docenti, messe a segno di recente nelle scuole di
Catania, Cagliari, Foggia, Vicenza e tante altre da tali giustizieri di anomala
famiglia, che hanno frainteso il proprio ruolo di protettore con quello di
Zorro o Robin Hood, non solo a Carnevale, sono ridicole e inesistenti. Mancano
di una qualsiasi causa scatenante, se non quella di un semplice richiamo.
Perché “mio figlio non si tocca, non si
offende, non si umilia in pubblico”, pensano costoro che ritengono di dover
vendicare e l’offesa e l’onta familiare.
Ma
non sanno che, al contrario, tali atteggiamenti punitivi, tali risposte
rabbiose e velenose, indotte da un presunto oltraggio al proprio supposto
prestigio, sono sintomi di gretta ignoranza, di incompatibilità sociale e di
esagerata autostima. Rivelano una mancanza di equilibrio, un disordine etico e
valoriale, come una sommersa boa, naufragata nel mar
dell’insipienza
Non
sanno e non sospettano nemmeno che questo loro agire, non aumenta il loro
credito o salva la loro dignità. Denuncia soltanto una primitiva brutalità che
supplisce a quella autorevolezza che pretendono di dimostrare, ma che non
hanno.
Se
proprio volete prendervela con qualcuno della scuola, fatelo con la dirigenza
del Liceo Visconti di Roma, che si fa vanto e pubblicità (classista),
affermando che lì son tutti sani, bianchi e belli: “non ci sono poveri, né disabili, la percentuale di alunni svantaggiati
per condizione familiare è pressoché inesistente, gli studenti sono italiani
(di pura razza) e provengono da famiglie alto borghesi.”
E
tanto vi basti e vi avanzi, cari padri vigilanti, per i vostri sfacciati
esercizi di impudenza.
19 febbraio 2018 (Alfredo Laurano)
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