martedì 20 febbraio 2018

CI PENSO IO


Per fortuna o per cultura, per storia o per destino, non siamo (ancora) come l’America, dove si consuma, di media, una strage al giorno di studenti e professori nei college o nei campus universitari. Nel Colorado, nel Connecticut, in Oregon, in Florida o dove capita.
Nelle nostre scuole, per il momento, si aggrediscono, si insultano e si picchiano solo gli insegnanti, tutt’al più i vicepresidi o il personale paradocente, a pugni, calci e costole rotte. Forse perché le armi, da noi, ancora non si vendono al supermercato o all’emporio cingalese sotto casa.
Ma non sono sempre o solo gli studenti a farlo.
Per lo più, i giovanissimi, i gruppetti e le baby gang ci pensano da soli, reciprocamente, ad esercitare un po’ di sana violenza, a perseguitare, minacciare, irretire, brutalizzare - in un solo orrendo neologismo, “stolkizzare” - i loro stessi coetanei, col bullismo di strada, di classe e telematico. Ricorrendo, cioè, a piccole vessazioni quotidiane, abusi e prepotenze che, a volte, però, possono trasformarsi in pericolose azioni di vera infamia e sciacallaggio sociale, con conseguenze drammatiche e imprevedibili.
Dare libero sfogo alle loro maligne pulsioni adolescenziali li aiuta a crescere, a farsi i calli e le ossa, a prepararsi alle regole ciniche della società dei grandi. Una sorta di perfido tirocinio, di allenamento alle sfide, cruenti e impietose, sul ring della malvagità globale degli adulti.
Ma, se per caso qualcuno li rimprovera, li invita a rispettare gli altri o si permette di ricordare le regole di civile convivenza in una comunità, per loro conto e a loro immediata difesa, si ergono, infatti, con arroganza barbara, i propri padri paladini, gravemente offesi nel ruolo e nell’onore, come accadeva un tempo per corna e i tradimenti. Prodi cavalieri senza macchia e senza paura, pronti a lavar col sangue colpe, vergogna e disonore.

Tutti ricordiamo che, in questi casi e in epoca non lontana, tornati a casa si prendevano sberle e resto dai genitori, per aver solo risposto con poco rispetto al maestro o al professore. 
Per mia fortuna, ho fatto questo nobile e difficile mestiere per pochi anni e, soprattutto, molto tempo fa.

Le motivazioni delle tante aggressioni a danno di docenti, messe a segno di recente nelle scuole di Catania, Cagliari, Foggia, Vicenza e tante altre da tali giustizieri di anomala famiglia, che hanno frainteso il proprio ruolo di protettore con quello di Zorro o Robin Hood, non solo a Carnevale, sono ridicole e inesistenti. Mancano di una qualsiasi causa scatenante, se non quella di un semplice richiamo. Perché “mio figlio non si tocca, non si offende, non si umilia in pubblico”, pensano costoro che ritengono di dover vendicare e l’offesa e l’onta familiare.
Ma non sanno che, al contrario, tali atteggiamenti punitivi, tali risposte rabbiose e velenose, indotte da un presunto oltraggio al proprio supposto prestigio, sono sintomi di gretta ignoranza, di incompatibilità sociale e di esagerata autostima. Rivelano una mancanza di equilibrio, un disordine etico e valoriale, come una sommersa boa, naufragata nel mar dell’insipienza
Non sanno e non sospettano nemmeno che questo loro agire, non aumenta il loro credito o salva la loro dignità. Denuncia soltanto una primitiva brutalità che supplisce a quella autorevolezza che pretendono di dimostrare, ma che non hanno.
Se proprio volete prendervela con qualcuno della scuola, fatelo con la dirigenza del Liceo Visconti di Roma, che si fa vanto e pubblicità (classista), affermando che lì son tutti sani, bianchi e belli: “non ci sono poveri, né disabili, la percentuale di alunni svantaggiati per condizione familiare è pressoché inesistente, gli studenti sono italiani (di pura razza) e provengono da famiglie alto borghesi.” 
E tanto vi basti e vi avanzi, cari padri vigilanti, per i vostri sfacciati esercizi di impudenza. 
19 febbraio 2018 (Alfredo Laurano)

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