In
apertura, l’amore come incubo: il matrimonio di Montalbano con Livia, in riva
al mare, sotto un gazebo.
Poi,
inizia una bella e triste favola d’amore, raccontata su due piani, attraverso due
situazioni emotivamente forti, piene di passione e in diverse dimensioni spazio-temporali,
cui si unisce, come terzo effetto derivato, l’inedita gelosia del commissario,
che quei fatti vanno a motivare.
Da
una parte la tenerissima storia dei due anziani attori che, mettendo in scena -
in chiave teatrale e non poteva essere altrimenti, data la loro professione - la
prova generale della loro morte, rivelano l’intenzione di non voler l’uno
sopravvivere all’altro, perché andarsene insieme non è molto probabile che
accada.
Dall’altra,
la vicenda tragica della bellissima e sfortunata Michela, che ha incontrato
uomini sbagliati, che l'hanno violentata, umiliata e sfruttata, fino a farla
diventare una prostituta. Cacciata dalla sua famiglia, col tempo è riuscita a
risollevarsi, si è rifatta una vita e ha trovato l'amore totale e
incondizionato.
Indubbiamente
affascinante l’intreccio che scava, come sempre, nei meandri più intimi e
personali dell’animo umano, senza limiti di età, di tempo e condizione, ma
inspiegabile e non necessario, a mio avviso, è il sacrificio più che romantico della
ragazza che si uccide, avvelenandosi, per rimuovere le ossessioni del suo
passato e del suo compagno e per donargli - proprio nel momento che quell’amore
ha finalmente trovato - qualcosa che non aveva mai dato a nessuno: la sua stessa
vita. Manco
fossero Romeo e Giulietta in veste siciliana nell'archetipo dell'amore perfetto
e impossibile.
Amore
estremo, possesso e gelosia, quindi, alla base dell’adattamento televisivo "Amore" di ieri sera su Raiuno (non
ho letto le stesure originali dei romanzi) che, al di là dell’eccellente interpretazione
di tutti, delle caratterizzazioni, della suggestive ambientazioni, dei dialoghi
efficaci, non mi ha convinto per due ragioni:
- l’improbabile sentimento di
gelosia, indotto strumentalmente da una provocatrice Livia e scaturito anche dall’
iniziale incubo nuziale, che si riflette in Montalbano;
- e soprattutto l’eccessiva
sovraesposizione del personaggio Catarella, sempre più assurdo, stravagante e surreale
e sempre più caricatura di se stesso, che per devozione assoluta al suo “dottore”,
sparisce, si dimette, si ritira in campagna a sbucciar patate e sviene di
paura. Tutto ha un limite!
Anche
le fiction più fantasiose segnano un confine di credibilità.
20
febbraio 2018 (Alfredo Laurano)
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