giovedì 15 febbraio 2018

MONTALBANO, PUPI E COMPARI



Andrea Camilleri, Luca Zingaretti? I due, ormai, sono consustanziali, hanno cioè una sola e medesima identità, di natura e di sostanza, come le (tre) persone della Trinità, nella dottrina cattolica. Anche se la sovrapposizione più corretta sembrerebbe essere quella tra il commissario più amato dagli italiani e il suo straordinario interprete, questa è forse l’unica considerazione azzeccata (e condivisibile) da tale Davide Brullo - epigono o inconsapevole seguace del sedicente marchese Fulvio Abbate - che, come lo stesso, afferma che la falsa Sicilia di Camilleri non si sopporta più. E ci mette pure i carichi da undici!

Che i suoi libri sono un souvenir: dentro, in miniatura, c’è la città di Vigata. Se giri la palla cade una spruzzata di neve e si sente un tizio che dice: Montalbano sono!
Che sono l’idea piuttosto esotica e alquanto inautentica che, un americano di Dallas avrebbe dell’Italia, tutta pizza, mafia e mandolino. Un borgo siciliano ricostruito a Cinecittà (ma dove, ma quando?), in polistirolo, con qualche comparsa che getta là frasi in scombiccherato dialetto, più fittizio di quello ruminato da Montalbano. La scrittura di Camilleri è sempre una partita a bocce tra ottuagenari, un bignè al reparto geriatrico, ha il retrogusto della commedia all’italiana di serie B. I suoi libri sono così. Palle di vetro. Due palle così.
Prima di lui, del Brullo, un anno e mezzo fa, l’Abbate, suo predecessore e presuntuosissimo scrittore, che di acidità, invidia e rancore non poco se ne intende, aveva scritto, sempre su Linkiesta, che Camilleri è solo uno Sciascia decaffeinato che racconta una Sicilia da cartolina, in cui perfino la mafia diventa un souvenir, come il carrettino o la coppola o il grembiule con l’effigie di Marlon Brando nei panni del Padrino. Che descrive una Sicilia ridotta a macchietta, il suo dialetto è da pro-loco, da ente nazionale per il turismo e il suo successo è solo figlio di una bella produzione. Ecco su cosa si basa il successo del creatore del Commissario Montalbano.
Un bel duo di sputtanatori seriali, non c’è che dire!
Viene da chiedersi, e soprattutto da domandare a questi paludati critici e severi recensori - forse, più per invidia e per mestiere, che per competenza e obiettività - come mai anche ieri sera, come sempre, e come accade quando c’è una partita del Mondiale o il festival di Sanremo, oltre undici milioni di italiani (45,1% di share) si sono sistemati davanti alla TV per vedere il nuovo episodio di Camilleri-Montalbano? Per non soccombere, l’Isola dei Famosi, con tutta la sua spazzatura, è scappata dal lunedì e si rifugiata nel martedì.
Come mai milioni di stupidi italiani continuano a comprare e leggere i relativi libri? Perché tanto successo?
Perché è lecito pensare che, più che parlare di romanzi e racconti sceneggiati, di eventi televisivi ben confezionati, si è creato uno spontaneo e ciclico rituale nazionale, con consenso consacrato da vent’anni, che ha dichiarato amore per il vecchio nonno, saggio, Camilleri e una passione sfrenata per il suo Montalbano e i suoi collaboratori, con gli eccellenti Zingaretti, Bocci e Mazzotta sempre più veri, credibili e vicini al proprio personaggio, da far confondere recitazione ed espressione di se stessi,  o da  insinuare in loro possibili problemi di riconoscibilità e di personale identità.
Ma anche, un’attrazione fatale per quelle storie, ingarbugliate e assai complesse, di donne, seduttori, rapimenti, ammazzatine, false piste, scanti, passioni e gelosie, per quelle atmosfere magiche e quegli ambienti affascinanti - tanto da percepirne quasi gli odori ed i profumi - nel solco della tradizione nazionalpopolare, dove la gente è leale e spontanea, dove trionfano i sentimenti sani e l’idea di giustizia e solidarietà, nell’immaginario collettivo di un popolo deluso e stanco degli orrori quotidiani.
Tutto ciò vuol dire, o mi sta a significare, che allora qualcosa di buono, di importante, di valore sociale e di spessore culturale, il bistrattato Camilleri ha suscitato!
Ha creato uno stile, un’etica profonda e di rispetto. Ha raccontato la quotidianità, la realtà, il male, ma anche l’amore e la bellezza, nelle sue diverse, infinite sfumature. Ha dato gloria e arte a una splendida terra, spesso volgarmente offesa e colpevolizzata, da abusati e circoscritti stereotipi, da pregiudizi scontati e stantii.
Non sarà Tolstoj o Pirandello, ma nemmeno un intrattenitore di boccaloni americani di Dallas o un modesto pittore di cartoline siciliane, che gioca a bocce con altri ottuagenari o mangia un’arancina o pasta ‘ncasciata, al reparto geriatrico dell’ospedale di Vigata.
Così, come pretende di dipingerlo qualcuno che non sa nemmeno tenere in mano i pennelli e la tavolozza di colori.
13 febbraio 2018 (Alfredo Laurano)


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