Molti
ricorderanno l’allegra filastrocca, dei primi anni sessanta, cantata da Renato
Rascel: "È arrivata la bufera / è
arrivato il temporale / chi sta bene e chi sta male / e chi sta come gli par",
che, quando fu composta (1939), voleva velatamente sdrammatizzare la
possibilità di un nuovo conflitto bellico in Europa. Oggi quella bufera, ma
solo in senso meteorologico, sta arrivando di nuovo e non è la prima volta.
Da
domenica prossima, gelo, fitte piogge, vento forte e copiose nevicate, anche in
pianura, si abbatteranno in buona parte d’Italia, nord e centro in particolare,
comprese le Marche e le regioni adriatiche. Qualche spruzzata di bianco
potrebbe cadere anche su Roma e il litorale laziale.
Quest’aria
fredda di origine siberiana, che alcuni chiamano Burian, altri Buran,
viaggiando a 100 km/h tra steppe, monti, valli, fiumi e laghi e gelando
qualsiasi cosa incontri lungo il suo percorso, occuperà i nostri spazi e i
nostri cieli, restandovi per diversi giorni, anche se non è certo una novità.
Il
termometro inizierà a scendere sotto zero, appunto, nella giornata di domani 25
febbraio e le massime non arriveranno oltre i 2 o 3 gradi, tanto da risultare
molto inferiori alle medie climatiche di periodo, anche di 10-15 gradi.
Secondo
i meteorologi sarà una delle più potenti incursioni del temibile Burian degli
ultimi 20 anni.
Il
suo nome è collegato a radici popolari-linguistiche che si rifanno a Boreale.
Da
secoli, il gergo popolare marchigiano ha assimilato la locuzione russa Burian,
indicando con il termine dialettale Buriana la classica bufera portata dal
gelido vento di Nord-Est, proveniente dalla lontana Siberia.
A
Trieste ed in Friuli, viene chiamata Bora, derivando tutti dal latino e dal
greco "boreas", "settentrione", che sul mare, poi, diventa burrasca,
dal veneto "borasca". Come il francese "Mistral" deriva dal
Maestrale, cioè il vento maestro o principale.
A
differenza dell’agricoltore Giovanni della Val d’Ossola - che spavaldamente si
definisce amico del freddo e che vive in casa e fuori, in maglietta corta e a
piedi nudi, con le finestre sempre aperte anche d'inverno, quando il termometro
è intorno a zero gradi - non resta che coprirci, scaldarci e vestirsi a cipolla
e, soprattutto, dare aiuto e riparo ai tanti senzatetto che vivono per strada.
Può bastare anche una semplice telefonata per segnalare alle strutture
pubbliche chi è in difficoltà.
In
una società civile, la condizione di quelli che vengono chiamati barboni,
clochard o invisibili, spesso oggetto anche di brutali atti di violenza e di
macabri giochi da parte di esseri miserabili, è sempre sotto gli occhi di
tutti, col freddo, col caldo o con la pioggia.
23
febbraio 2018 (Alfredo Laurano)
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