Lo
pensiamo e lo diciamo tutti, lo ripetiamo tante volte, fino allo sfinimento e
al ribaltamento dei parametri della coerenza e dell’ umana logica, che non ci
conforta e non ci aiuta a capire: è una storia drammatica, più incredibile che
vera, più assurda che inconcepibile, quella
di Marco Vannini, il giovane ucciso da un colpo di pistola, il 17 maggio del
2015, mentre era a casa della fidanzata Martina Ciontoli e della sua intera
famiglia, accusata di omicidio volontario e tuttora processata, insieme alla
giovane Viola, compagna del fratello, imputata di omissione di soccorso.
Un
assassinio collettivo, quanto grottesco e paradossale, che sembra quasi uscito
dalla penna fantasiosa di Agatha Christie, come nei “Dieci piccoli indiani”, dove ogni protagonista è responsabile di
un crimine, che pagherà con la morte. Nel nostro caso, il delitto è unico e
reale e i colpevoli dovranno essere puniti come meritano e senza la
giustificazione di alcuna “filastrocca
dei poveri negretti”.
Un
delitto, comunque, consumato secondo i criteri narrativi del cosiddetto enigma
della camera chiusa o, nella fattispecie, bagno, casa o altri ambienti, che indica
una particolare varietà di romanzo poliziesco, in cui tutto si svolge in spazi
e circostanze, apparentemente impossibili.
Da
quel genere di letteratura, possiamo certamente catturare ipotesi e
suggestioni. Ma non possiamo immaginare, pur condividendo rabbia e voglia di
giustizia, quanto quella madre e quel padre stiano soffrendo, da quasi tre
anni, e cosa realmente stiano provando sulla propria pelle, ogni giorno, ad
ogni udienza, ad ogni trasmissione televisiva, ad ogni notizia o articolo di
giornale.
Non
possiamo sapere quanto siano stati distrutti prima e devastati poi. Nella
testa, nel corpo, nell’anima e nella vita quotidiana. Né, da quanto dolore
siano percorsi e quanta disperazione abbiano sentito e sentano, riascoltando
infinite volte la registrazione impietosa di quei lamenti, di quelle urla
soffocate del proprio figlio agonizzante - che commuovono e sconcertano anche
tutti noi - rivivendone lo strazio, l’angoscia e la paura. E’ come uno stiletto
che ogni volta ti trafigge e ti attraversa l’anima.
E
tutto, all’apparenza, a causa di un “gioco” finito male, di uno scherzo
macabro, di un fatale errore, degenerato per irresponsabilità, incapacità e
colpevolissima inettitudine.
Nell’udienza
dell’altro giorno, hanno testimoniato in aula il medico rianimatore
dell’eliambulanza e l’infermiera, intervenuti quella notte, confermando che “Il ragazzo non aveva pressione arteriosa,
ma sudorazione importante, presumibilmente dovuta a uno choc emorragico. Marco
era molto sofferente e cercava la mamma”. Un’altra coltellata a quei poveri
genitori, ormai senza parole, senza lacrime e pensieri.
“È stato angosciante - aggiunge
l’avvocato dei Vannini, Celestino Gnazi -
apprendere che Marco tentava di alzarsi aggrappandosi a chi gli stava intorno,
chiedendo protezione e invocando l’aiuto della madre.
Quel povero ragazzo non solo era sopraffatto dal dolore della ferita, era anche terrorizzato”.
Quel povero ragazzo non solo era sopraffatto dal dolore della ferita, era anche terrorizzato”.
E
Marina Conte, sapendo che, secondo la perizia, il figlio avrebbe potuto salvarsi,
se solo fosse stato soccorso e non avvolto in uno sporco straccio di omertà,
ordito dai suoi insensibili aguzzini, non si dà pace e mai se la darà.
Il
PM, nella sua requisitoria del prossimo 21 marzo, chiederà sicuramente il
massimo, per avere forse il minimo di condanna per quei cinque colpevoli che in
tutto questo tempo hanno cercato - peraltro a piede libero - di spalleggiarsi,
di concordare dichiarazioni, di salvarsi da accuse e responsabilità, alzando un
ridicolo muro di imprevisti e casualità, facendo catenaccio e riparandosi
dietro un ombrello difensivo, strappato e inconsistente, ma capace di nascondere,
confondere, sollevare dubbi e perplessità alla giuria.
Tutto
appare così folle e inammissibile, contrario alla ragione, al buon senso, al
sentimento di solidarietà.
Come
il flop di una fiction mal riuscita e recitata peggio.
30
gennaio 2018 (Alfredo Laurano)
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