domenica 28 gennaio 2018

DAVANTI A QUEGLI OCCHI

E’ stata la giornata del pensiero, del pianto e della commozione, del ricordo e della conoscenza per chi sa, per chi sa poco o niente, o per chi non sa o non vuol sapere.
E’ stata la giornata che ricompone l’idea concreta di umanità, che le restituisce un senso, una dignità.
Il 27 gennaio del 1945 i soldati dell’Armata Rossa fecero il loro ingresso nel campo di concentramento di Auschwitz e liberarono i pochi prigionieri sopravvissuti, svelando al mondo l’atrocità e l’orrore della Shoah.
Dal 2000, cinque anni prima di quella internazionale deliberata dalla risoluzione Onu, l’Italia ha istituito, per legge, il 27 gennaio “Giorno della Memoria”, proprio per ricordare lo sterminio degli ebrei, le persecuzioni, le leggi razziali e la deportazione nei campi subita da milioni di persone (insieme agli ebrei, zingari, omosessuali, disabili, oppositori politici), nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti a quella infamia e, a rischio della propria, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. 
Il ricordo dell'orrore è tanto più sentito, quanto più passano gli anni e scompare la generazione dei sopravvissuti e dei testimoni della Shoah.
“Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo…Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, diceva Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz.  
E appunto per riconoscere gli errori del passato e per evitare di ripeterli è importante rievocare quella tragedia.
Tanti incontri, mostre, appuntamenti e manifestazioni, quindi, ieri, nel Giorno della Memoria, proprio per non dimenticare quella follia ideologica, culturale e storica, per confrontarsi insieme nei teatri, negli spazi culturali: dai film, alle letture, alle testimonianze, fino ai luoghi simbolo della memoria collettiva, alle biblioteche e ai musei diffusi nel territorio di tutto il Paese. In tutto il mondo vengono organizzati eventi, cerimonie e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione.

Toccante e struggente il docu-film di Walter Veltroni "Tutto davanti a questi occhi" - trasmesso in contemporanea nella stessa serata su Sky, Rai 3, Iris e LA7, (è la prima volta che accade) - che racconta la tragica storia di Sami Modiano, uno dei pochi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz Birkenau. Deportato da Rodi quando aveva solo quattordici anni con suo padre e sua sorella, tornò soltanto lui.
Un omaggio ad una persona i cui occhi, che ancora piangono, hanno visto troppo e dicono tutto. A una persona che, dopo aver visto familiari e amici uccisi in quell’inferno, dopo aver sofferto pene indicibili, ha riscoperto dopo anni la forza di parlare e di tornare in quei luoghi. Il coraggio di raccontare cosa fu quell’orrore, perché non torni più.
Lo stesso coraggio di tanti altri testimoni della Shoah, che hanno trovato in se stessi una forza incredibile, per superare quel dolore profondo e perfino “i sensi di colpa” per essere sopravvissuti ai propri genitori, ai propri fratelli e sorelle, parenti e amici che, caricati come bestie nei vagoni piombati, partirono dal Binario 21 di Milano o dalla Stazione Tiburtina di Roma. Senza più tornare.
Un racconto dalla straordinaria forza emotiva che contribuisce a sensibilizzare le nuove generazioni, perché solo attraverso la consapevolezza del passato si può leggere il presente e costruire il futuro.

Lo stesso Sami e il suo fraterno amico Piero Terracina, altro sopravvissuto conosciuto al campo, col quale ha condiviso lo stesso orrore, hanno avuto diversi incontri, a Roma, a Perugia, ad Aversa, con ragazzi e studenti, raccontando pezzi della loro vita e delle loro tribolazioni.
Hanno invitato non solo a non dimenticare, a custodire la memoria dell’Olocausto e degli orrori del nazifascismo del secolo scorso, ma hanno anche sottolineato quanto per il futuro siano preziosi i valori della democrazia, della libertà, della pace. E l’impegno contro ogni forma di sopraffazione, discriminazione, odio razziale e verso il diverso, nel rispetto della dignità umana.
In ogni momento, in ogni teatro, l’emozione, la partecipazione, l’empatia hanno colorato e bagnato quei volti giovani e quelli assai segnati dagli anziani testimoni.

Se una storia non viene raccontata, diventa una storia dimenticata, non lascia traccia. E’ come se non fosse mai accaduta: ce lo ricorda il bel film “La chiave di Sara”, messo in onda su La Sette, per concludere questo prezioso 27 gennaio.
A fare i conti con la verità, a far capire quanto ancora non sappiamo e a riempire i cuori di nuova speranza per il futuro, l’arrivo alla fine del film della novella Sarah, piccola figlia di Julia, conferma che, al contrario, “quando una storia viene raccontata, non può essere dimenticata. Diventa qualcos’altro: il ricordo di chi eravamo, la speranza di ciò che possiamo diventare”.
 28 gennaio 2018 (Alfredo Laurano)





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