venerdì 2 febbraio 2018

QUATTRO, PARI, NERO, MANQUE

Sicuramente il quattro, alla roulette della politica nostrana, non è un numero fortunato per il prode bullo di Rignano, già presidente del Consiglio e ancora segretario-padrone del PD. Il 4 dicembre del 2016 ha preso la bastonata del referendum costituzionale, il prossimo 4 marzo, prevedibilmente, ne prenderà un’altra: quella elettorale. Magari biasimando o accusando quella data musicalmente storica, legata al testo poetico del grande Lucio Dalla, nato il 4 marzo 1943.
Non si è dimesso dalla politica - come aveva solennemente dichiarato, insieme alla pupilla Boschi - dopo la prima, lo farà forse, spontaneamente, dopo la possibile seconda?
O qualcuno in quel partito allo sbaraglio riuscirà a convincerlo alla dissoluzione, con le buone o con le cattive?
Faites vos jeux. Les Jeux sont faits. Rien ne va plus: annuncia asettico il croupier.
Al Casinò dove si punta sui voti, questo numero fatidico potrebbe segnare la fine del renzismo, che si rivelerebbe una fugace meteora rispetto alle ottimistiche previsioni di tanti maghetti e politologi e, soprattutto, rispetto al redivivo berlusconismo di ritorno - di nuovo in auge nonostante condanne, servizi sociali, pernacchie e misfatti - di cui pareva essere il naturale sequel nel teatrino del grottesco all’italiana o l’inatteso remake di un’opera incompiuta, malamente reinterpretata in chiave diversamente progressista, secondo le nostalgiche categorie del dire, fare, giocare…e mentire.
Senza tornare all’antico, per esempio all’esordio “stai sereno” che, proditoriamente, strappò Letta della sua poltrona, o senza addentrarsi nell’accidentato percorso di balle, bugie, proclami e leggi vergogna à gogo (Jobs Act, articolo 18, Buonascuola, salva-evasori, responsabilità dei giudici, bavaglio sulle intercettazioni, Italicum), è sufficiente soffermarsi sulla attualissima questione della composizione delle liste elettorali e della scelta dei relativi candidati.
Un conflitto vergognoso, una manovra dispotica di assoluta prepotenza, denunciata aspramente dalle minoranze rimaste, ancora e nonostante. Tanti, com’è noto, se ne sono andati per sfinimento e deficit di democrazia, spinti verso l’uscio dagli insulti e dagli affronti di padron Renzi.
Solo fedeli e fedelissimi, che più fedeli non si può, che possano garantire l’obbedienza cieca, in vista di possibili (ma non probabili) scenari di alleanze di governo con la casa del padre putativo Silvio il Nazareno, e lubrificare e battezzare l’inciucio Renzusconi.
Si, perché proprio il deserto e quegli spazi vuoti lasciati da una Sinistra asfittica e trasformista, rivisitata in salsa leopoldesca e ornata dai vessilli del magico giglio fiorentino - sbandierati in luogo dei vecchi simboli storici, ripudiati con orrore insieme alle idee che rappresentavano - hanno determinato la resurrezione dell’ex cavaliere, ex senatore, ex statista delle cose perdute - patetica macchietta di se stesso, con i suoi inutili foglietti sempre in mano - anche se invecchiato, ricerato a lucido, indurito nel trucco, nella plastica facciale, già a suo tempo indotto al fallimento e alle dimissioni, sotto i pesanti colpi dello spread.
L’attuale minoranza dem è dunque sul piede di guerra: “Renzi deve dimettersi, sta distruggendo il Pd”. Michele Emiliano e Andrea Orlando criticano aspramente la strategia elettorale del segretario e contestano l’epurazione dei propri candidati: “La deriva di Renzi è perdente, con lui si rischia un processo di disgregazione inarrestabile. Dobbiamo convincerlo a lasciare, dopo il 5 marzo”.
L’agitata “notte dei lunghi coltelli” per blindare le candidature, seguita ai rinvii di una intera giornata, ha creato l'ennesima, grave spaccatura nel Partito Democratico: i non allineati, ignorati ed emarginati, hanno dovuto rinunciare a candidarsi per far spazio ai fedelissimi renziani. 
Nonché a un nuovo giovane e promettente acquisto, ex DC, ex UDC, ex PDL, ex tutto e di più, di nome PierFerdy Casini. Quoque tu! Quoque lui! 

Sullo sfondo e tutto intorno a questa vera guerra civile, scatenata all’interno di una parte, cresce una campagna elettorale truffaldina, cinica e indecente, tesa a creare o consolidare apparati, posizioni e rendite, che si articola in nome e per conto dell’opportunismo, in dichiarazioni sensazionali, prediche incontinenti, clamorose menzogne e finte suggestioni.
Con inaudita faccia tosta, secondo i canoni della più squallida demagogia, santoni e apprendisti stregoni dell’era digitale promettono magicamente tutto: sogni, lavoro, stabilità, sicurezza, pensioni dignitose, redditi vari, lotta alla corruzione, all’evasione fiscale, alla povertà. C’è chi vuole abolire bolli auto, vitalizi e privilegi, dimezzare le tasse, “sopprimere” la Fornero e i clandestini, eliminare il canone Rai dopo averlo appena messo in bolletta.
E, anche, a scelta, tutto ciò che non ci piace o ci dà fastidio.
In vista di tale attraente e seduttivo paradiso, chissà perché, poi, da anni, la gente non va più a votare, si rifugia nel menefreghismo quotidiano e, tuttalpiù, apprezza il sano e più verace populismo!
Si fosse un po’ stufata di essere coglionata dalle illusioni parolaie seminate da giullari, burattini, mezze figure, pagliacci e vecchie e nuove maschere di stato e di regime? Tanto e dopotutto siamo a Carnevale.
Questa ridicola e inappagata farsa nazional popolare, in stile Cetto La Qualunque, ornata da decine di caricature e simboli affastellati l'uno accanto all'altro, quale esibizione di patologico narcisismo e di manie di protagonismo da baraccone, va in onda tutti i giorni e a tutte le ore.
E si conduce stanca, in un Paese sempre più stordito, annoiato e annichilito, su treni accessoriati, piazze allestite ma non gremite, pullman, comizi, giornali, talk show e prove tecniche di comunicazione e, soprattutto, tra impossibili alleanze, scelte e manovre studiate a tavolino, attacchi violenti alle persone (e non a programmi e idee), reciproco sputtanamento all’ultimo sfregio, tali da indurre l’esausto cittadino ad abbandonarsi al fascino romantico e indiscreto del sogno anarchico dell’utopia, dove l’antitesi è opposta al suo contrario e svela la falsità dell’incompatibile armonia.
 (Alfredo Laurano)



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