mercoledì 30 marzo 2016

UNO SPIRAGLIO UMANITARIO

Cinque anni di guerra in Siria hanno provocato, oltre a centinaia di migliaia di morti, 13 milioni di sfollati e profughi. Uomini, donne e bambini - circa la metà della popolazione dell’intero Paese - hanno dovuto abbandonare le case distrutte e le proprie cose.
Sono finiti nei campi profughi di mezzo mondo, ma circa due milioni vivono ancora lì, sotto assedio, intrappolati nella guerra. 
Molte città sono rase al suolo e 63 ospedali sono stati bombardati in attacchi mirati (non certo per errore, come si vuol far credere, vista l’alta tecnologia e i satelliti impiegati) contro strutture civili, accanto ad obiettivi e gente che non combatte.
In particolare, ad Aleppo - la città più popolosa della Siria, detta la Bigia, la capitale del nord -  dove ogni giorno l'esercito e i ribelli combattono gli uni contro gli altri. 
La città è un campo di battaglia e quasi tutti i civili l'hanno abbandonata. E’ completamente devastata, alcuni sopravvivono in condizioni impossibili, senza niente, senza cibo, senza luce: manca tutto, perfino l’acqua.
Un milione mezzo di siriani, con un flusso inarrestabile, si sono rifugiati in Libano, dove non ci sono altri campi profughi e dove vivono come possono, sotto tetti e terrazzi o in baracche fatiscenti, pagando affitto, cibo, elettricità. Si scaldano bruciando plastica.
Intere famiglie, con bambini e anziani, sopravvivono all’addiaccio o sotto il sole cocente senza protezione, abbandonate a loro stesse e c’è chi, non avendo altra alternativa, considera l’opzione più estrema, emigrare per mare: “Ci stanno stringendo un cappio intorno al collo, da qui ci cacciano e in Siria non possiamo tornare. Preferiamo morire in mare che sotto il sole in una strada”.
Intanto, al largo della Turchia, nell’Egeo, nel Mediterraneo e nella via dei Balcani si continua a morire tutti i giorni. Profughi e migranti, tra cui moltissimi bambini, annegano in quei mari, ma anche nelle acque dei fiumi, o per malattia e stenti.
E queste cronache, ormai, non fanno quasi più notizia, se non per l’orrore e il malessere che provocano certi incredibili reportage televisivi, realizzati da coraggiosi inviati.

Nei risvolti amari di questo epocale disastro, si è aperto finalmente, quasi per miracolo, un timido spiraglio di speranza: un progetto-pilota realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, dalle Chiese Evangeliche e dalla Tavola Valdese che unisce la solidarietà e la sicurezza e consente di aiutare persone che fuggono dalla guerra.
Cento profughi provenienti dal Libano, tra cui bambini, disabili, anziani e vedove di guerra con figli, sono già stati trasferiti in Italia, attraverso viaggi sicuri in aereo. Un canale legale contro i viaggi della morte e il traffico dei mercanti.
Nei prossimi mesi, grazie a un accordo con il governo italiano, attraverso altri corridoi umanitari arriveranno nel nostro Paese un altro migliaio di profughi - attualmente in Marocco, Libano ed Etiopia - scelti in base alla condizione di vulnerabilità (vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, malati).
Tale iniziativa indica che un’altra via è possibile e che si può e si deve affrontare questa emergenza umanitaria con modalità diverse da quelle arrangiate fino ad oggi. C’è da sperare che le istituzioni europee, incapaci, indecise e titubanti, o in molti casi assenti, possano decidere qualcosa di nuovo e di efficace, in questa direzione.
Lo stesso Francesco, il cui primo viaggio da papa è stato proprio nel segno di Lampedusa, lo definisce segno concreto di impegno per la pace e per la vita, esprimendo grande ammirazione per la scelta dei corridoi umanitari.
Questo progetto è come un accordo di pace perché permetterà di salvare tante vite umane.
Per la prima volta, disciplinando flussi, spazi, numeri e reali possibilità, chi ne ha diritto potrà finalmente entrare nel nostro Paese evitando le scommesse con la morte e col destino: un modello replicabile dappertutto, a condizione che ci sia la volontà di farlo, invece di erigere altissimi muri e reti spinate.
Le spese per i viaggi, in aereo o in nave, per l’ospitalità e l’assistenza legale saranno tutte a carico delle associazioni e dei privati, in larga parte con l’8 per mille dei Valdesi e con fondi della Comunità di Sant’Egidio. Attendiamo, con fiducia, anche la disponibilità della Chiesa cattolica.
Ai profughi, una volta arrivati in Italia, si offrirà anche un programma di integrazione che prevede l’apprendimento della lingua italiana, l’avviamento al lavoro e l’iscrizione a scuola per i minori.
Mille persone, per ora, ma con la speranza che in futuro siano molte di più ad essere finalmente sottratte al rischio di morire in mare, ma anche allo sfruttamento economico da parte dei vili mercanti di uomini.
Per qualcuno, più che un viaggio, è iniziato un sogno, il sogno di non patire più la violenza, le bombe, la fame, il freddo e il dolore per i figli senza futuro.
(Alfredo Laurano)




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