giovedì 10 marzo 2016

PER VEDERE COME STANNO LE BESTIE FEROCI

Torturato e massacrato a coltellate e colpi di martello, a 23 anni, durante un lungo festino a base di 1500 euro di coca, di alcol e sesso gay.  Un omicidio premeditato, aggravato dalla crudeltà, dalle sevizie e dai futili motivi.
Per gioco estremo, per noia, per bisogno di brivido ed emozioni forti, per una intensa scarica di adrenalina, quale diversivo alla propria nullità. Senza, all’apparenza, un qualsiasi altro movente.
“Ti vogliamo pulito, dicono alla vittima, fatti una doccia”. E quando esce, mezzo nudo, gli sussurrano brutalmente “Abbiamo deciso di ucciderti”.
Siamo oltre la più feroce bestialità, che solo un umanoide guasto può consapevolmente esprimere.
Il giovane Luca Varani, viene reso inoffensivo, intontito e stordito da una mistura di farmaci e metadone e subito torturato con coltelli e un martello.
L’agonia dura ore. Viene sgozzato prima di essere ucciso e non urla, né chiede aiuto, perché gli hanno reciso le corde vocali. Decine di ferite fino all’ultima, decisiva, al cuore.
Gli inquirenti lo troveranno con il coltello ancora conficcato nel petto.
Dopo aver ucciso, i due assassini dormono a fianco del cadavere per circa sei ore.

Una vita vissuta sniffando e sballando, come in tante altre precedenti occasioni, con altri soggetti che ne sono usciti per fortuna vivi, dove il vuoto esistenziale, casualmente intriso di occasionali rapporti sociali e incontri personali anaffettivi, viene riempito da spazi e soggetti quasi virtuali.
In un non luogo, o luogo dell’apparenza e del verosimile, come quello dei social e del Web, dove è facile costruire un’identità che manca, disegnare un percorso fittizio della propria esistenza, tra le vie dell’alcol e della droga, e incontrare altri figuranti dell’essere. Come pretende la cultura dello sballo portata alla massima espressione.
Un limbo privo di passioni vere, di slanci e di umanità, dove l’assenza di ordinaria quotidianità si riversa drammaticamente nel patologico bisogno di provare qualcosa di forte, di eclatante, di non comune: uccidere “per veder l’effetto che fa”, come hanno candidamente confessato le due belve umane e come stupendamente cantava il grande Jannacci, mentre andava allo zoo comunale.

Vengo anch’io? No, tu no. Anzi, si.
Per completare questa insensata fiera del disgusto, non poteva mancare uno spicchio di farsa nella tragedia, in ossequio alla vigente cultura mediatica, che spettacolarizza morti, disgrazie e violenze d’ogni tipo.
Il padre di uno degli assassini ha avuto il bel coraggio e l’improntitudine di presentarsi in TV, dal solito, nauseabondo Vespa - depositario e cantore di intrighi politici, drammi umani, risotti e gossip quotidiano - per difendere, con lucidità e distacco, e senza un minimo di naturale sconvolgimento, il proprio figlio, che aveva appena ammazzato per capriccio un giovane quasi sconosciuto:  “Un ragazzo modello, buono e riservato, contrario alla violenza e con un quoziente intellettivo sopra la media”.
Mancava solo che aggiungesse “un figlio che tutti padri vorrebbero avere!”

Che fortuna poter avere un ragazzo così “modello”, modello esemplare di una vita rovesciata, sprecata e trascorsa tra vizi, festini, cocaina e altre mitiche imprese eroiche e umanitarie. Un privilegio che mi pregio di non godere.
Sia ergastolo per lui e per il suo abietto sodale, spietato assassino.
La società civile della gente che ama e che lavora, e di tutti gli altri padri, non ha bisogno di questi modelli rari e schifosi, da museo degli orrori.
Questi “modelli” devono marcire in galera.
10 marzo 2016 (Alfredo Laurano)


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