domenica 27 marzo 2016

COME RITO COMANDA

Tra una strage e l’altra, anche quest’anno arriva Pasqua. E porta il suo messaggio di amore e fratellanza.
Cristo risorge, ma non vede. Sangue e teste continuano a scorrere nei fiumi immensi della follia umana, a dispetto delle feste e delle tradizioni. E nemmeno i tanti Lazzaro del mondo risorgono, si alzano e camminano.
Intanto, domenica scorsa, i cristiani si sono scambiate le palme e i rami d’ulivo in segno di pace e domani celebrano la rinascita del Cristo.
Soprattutto a tavola.
Oltre ad essere (o, forse, lo era) un momento di riflessione spirituale, carico di simbologie, allegorie e di contenuti storico-metaforici, questa festività vanta anche una lunga tradizione gastronomica, costituita da ricette particolari, piatti caratteristici e dolciumi tipici, i cui ingredienti vengono tramandati da secoli.
Colombe dolci (simbolo di pace), uova sode e di cioccolato (simbolo di rinascita), torte pasqualine, pizze al formaggio, coniglietti e pecorelle di zucchero.
Ma, soprattutto, l’agnello che rappresenta il sacrificio di Gesù - buono e mansueto come l’animale stesso -  che ha dato la vita per salvare l’umanità: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” e, nello stesso tempo, è anche il simbolo dell’innocenza e del candore, offerto dall’uomo in sacrificio, durante la Pasqua ebraica.
L’episodio di Abramo che immola l’animale in luogo del figlio Isacco, dalla cultura ebraica venne poi adottato dal cristianesimo, che paragonò l’agnello a Cristo che, come l’animale, fu sacrificato senza colpa.
Ancora oggi è il cibo della Pasqua giudaico-cristiana: simbolo sacrificale per eccellenza, offerto a Dio, ma consumato e divorato dall’uomo. Per devozione.

Privarsi e rinunciare è da pagani, perché Pasqua è la festa della Resurrezione. Ma, anche strage di piccoli agnellini che, dopo tre giorni, non risuscitano.
Una strage che si è consumata in queste ore.
Anche se in Occidente non ci sono più riti e sacrifici dedicati a una qualche divinità, in nome di una qualche religione, resta la tradizione della tavola imbandita, dell’abbuffarsi d’abbacchio e di regalare, ipocritamente, ai bambini l’agnellino di zucchero, con fiocchetto rosso e campanellino.
Gli agnellini ci ispirano tenerezza quando li vediamo, eppure, a un mese di vita, vengono strappati alle madri e portati in un lurido macello.

Ogni anno, a Pasqua, vengono uccisi 900 mila tra agnelli, capre e pecore. Animali che arrivano quasi tutti dai paesi dell'est, con lunghi ed estenuanti "viaggi della morte", stipati in camion strapieni, in condizioni insostenibili - molti arrivano al macello più morti che vivi - e mai sottoposti a controlli.
Gli animali terrorizzati camminano sul sangue e urlano mentre sono spinti con la forza al macello. 
Vengono immobilizzati, issati a testa in giù, storditi con una scarica di corrente elettrica e sgozzati, mentre alcuni di loro ancora si agitano e sono coscienti. Appesi a un gancio, per una zampa, e lasciati dissanguare. Prima di essere appesi e uccisi, sentono l'odore del sangue e i guaiti di terrore dei loro compagni.
Tutto questo, perché? 
Solo perché a molti piace mangiarli!
Non potrebbe esistere un motivo più futile per sottoporre questi cuccioli a tanta sofferenza e alla morte precoce.
Salvarli è facile: basta non mangiare agnello a Pasqua, né in nessun'altra occasione.
Pasqua 27 marzo 2016 (Alfredo Laurano)




Nessun commento:

Posta un commento