mercoledì 23 marzo 2016

FISIOLOGIA DEL TERRORE

Non riusciamo e non facciamo in tempo a metabolizzare l’orrore, il dolore o la paura di un attentato, di un feroce omicidio o di una incredibile disgrazia, che già siamo costretti a partecipare emotivamente - se non siamo coinvolti fisicamente - a un nuovo fatto di sangue che sconvolge la nostra vita, la quotidianità, le presunte certezze, le abitudini di quella felice e, spesso, noiosa condizione che chiamiamo, per contrapposizione, normalità.
Già l’attentato di Charlie Hebdo aveva scavato a fondo nella coscienza collettiva di intere comunità di cittadini e ridimensionato ogni illusorio baluardo di sicurezza, che sono arrivate le stragi nei musei e nelle spiagge della Tunisia, quelle nei bar e del Bataclan di Parigi, quelle in Turchia e nello Yemen.
Siamo stati sopraffatti dall’indignazione per altre atrocità commesse dalla belva umana o per un delitto per gioco e senza senso o dallo stupore di una terribile sciagura che uccide per caso tredici giovanissime fanciulle e i loro progetti di studio, di vita e di futuro.
Ci stiamo piano, piano, abituando al male, al disastro, alla tragedia, all’ineluttabile destino del terrore.
Aumenta progressivamente l’incertezza e il senso di precarietà cresce, ogni volta, a dismisura, fino a stravolgere ogni residuale tentativo di equilibrio fisico e mentale.
Prevale allora la sensazione di impotenza, mista ad angoscia, che incalza e scalza quella timida voglia di ottimismo della volontà, che con grande sforzo, ci imponiamo e che ci dà conforto.

E così, in questo forzoso cammino verso l’assuefazione all’empia fatalità, perfino i gravi atti di terrorismo, di stragi e devastazioni diventano un male fisiologico, qualcosa con cui convivere, qualcosa che non può essere che così. Un fenomeno che rientra nei limiti della norma, organico e reale.
E puntualmente accade e riaccade, si ripropone come un ciclo ricorrente, ma disordinato e irregolare, al di là di ogni possibile previsione. Intelligence, Apparati e Servizi risultano inefficaci e impreparati, vengono sconfitti ed umiliati, come tutte le buone e le migliori intenzioni di chiunque vigili sulla salute pubblica.
Anche Bruxelles, la città da tempo più blindata e militarizzata del mondo, è stata colpita nel vivo, con ordigni e kamikaze all’aeroporto e in centralissime stazioni della metro.
Un’ennesima strage. Non certamente l’ultima. Altre vittime di esaltati che disprezzano la vita propria e di chiunque, altro sangue da versare, da piangere, ma da lavare subito, per lasciare pulito e pronto il prossimo palcoscenico dell’orrore. Ovunque sia, ovunque e quando, casualmente, il male sarà ancora in onda.

Se ci riescono a Bruxelles, teatro, da mesi, di una capillare caccia all’uomo, figuriamoci cosa possono fare altrove. Chi non lo pensa?
Sta qui la grande paura di queste ore. Se il 13 novembre avevamo tutti provato orrore e pietà per la Parigi insanguinata, oggi, in questo 22 marzo, mentre si contano i morti di Bruxelles, proviamo soprattutto altra paura. Una paura che l’opinione pubblica sente salire sempre diversa e sempre più crescente e che investe istituzioni, famiglie e comuni cittadini.
22 marzo 2016 (Alfredo Laurano)


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