mercoledì 9 marzo 2016

LA VIA DI MATTEO

Non è facile penetrare la profonda spiritualità che avvolge un testo, scritto con il dolore dentro, quello profondo dell'anima, come dice lo stesso autore. Un’opera complessa, impegnativa, ricca di molteplici significati e sfumature, di metafore, di sogno e di speranza.

“Io sono Matteo” indaga, tra i difficili meandri della teologia, il delicato rapporto tra le cose divine e quelle umane. Tra dogma, fede, ragione e bisogni naturali e universali.
Anche se composto con determinazione, con la forza della volontà e dei sentimenti, si avvale di un linguaggio incisivo, poetico e drammatico, ma nello stesso tempo chiaro, sciolto e immediato.

Attraverso l’amore, la gioia, il dolore, i ricordi e le paure, Gian Piero Ferri narra il suo cammino spirituale che, tra impervie vie, sale la cima più alta dove Dio e l’uomo condividono la stessa meta, dove l’ombra di entrambi si unisce in un solo destino.
Un percorso della mente e del cuore che, nell’ultimo tratto, però - il più arduo e più difficile - nulla può, se non lasciare il posto alla fede e raccogliersi in preghiera su quella infinita cima.
Un viaggio nel fervore mistico, che si realizza alla ricerca del bene e dell’amore: enfasi, verità e mistero, dove il corpo riconosce l’anima; “tra le madri di tutte le genti, nei cui manti è riposta ogni umana speranza”.

Apostolo tra gli apostoli, Matteo, con Giovanni e Luca, si ritrova tra la gente a parlare con parole semplici della dottrina del Verbo, della parola di Dio. Il verbo di quel Dio incarnato, crocefisso, morto e risorto per la salvezza dell’umanità, che è la rivelazione dell’amore generoso di un padre ricco di misericordia.
“Il mio viaggio inizia in quella terra che non conosco. Vago in cerca di sguardi di memoria, cerco tra la gente, rifletto la mia immagine in una fonte dove bevo a piccoli sorsi per placare la mia sete antica”.
Il suo volto è barbuto, tremolante, dai lunghi capelli: “Sono un profeta”, penso sorpreso e incuriosito, nella toga che vesto, parlo alla gente come se la conoscessi”.

Per l’autore, è la fede che rende potente la preghiera, che l’avvicina agli uomini. Che li scioglie dalla schiavitù del sentimento terreno.
Dalla follia della guerra, della distruzione, della trincea, del filo spinato -  che ha cinto il capo di Cristo nei secoli - dei compagni di battaglia, nel reciproco sostegno e invocando Dio perché parli all’anima e indichi il cammino. Anche attraverso i suoi segni più semplici ma forti, come il pane, l’acqua, il sonno e il significato della sofferenza, tra i colpi di cannone e la bandiera della pace.

Oltre l’orrore dei campi di concentramento dove “il treno mette la parola fine alla speranza.” Dove i bambini hanno il volto di Dio, segnati dalla guerra infame, dalla prigionia dei campi di concentramento che segnano corpo e anima in quel dolore senza senso. Dove Maddalena strappa le sue vesti lacere e piene di lacrime per donarle alla vecchia che trascina le sue membra ferite, tra uomini dal volto trasparente, privi di ossa e carne.
Stremati dalla battaglia, si compie nel credente il miracolo della vita che, pur nella devastazione, innalza il vessillo del Bene che vince sul Male: ama il prossimo tuo come te stesso, ossia l’amore di Dio trasferito all’uomo nell’uomo. Un simbolo dell’amore che incarna i valori dell’amicizia, oltre i confini naturali della stessa esistenza.  
E in quella pietà che Matteo coglie in Padre Pio e Giovanni Paolo - un uomo venuto da lontano - quella preghiera stessa, che lo travolge, mentre cinge e capovolge il destino dell’umanità.
Solo questo infinito amore può salvare l’uomo.
9 marzo 2016 (Alfredo Laurano)

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