martedì 1 dicembre 2020

SEI UNICO

Francesco si racconta. 
Racconta la passione, la sua infanzia, la sua famiglia, i parenti, gli amici, i primi calci a quel pallone, filmati in superotto, che sarebbe diventato simbolo e magnifica ossessione della sua vita da campione: dalla spiaggia di Porto S. Giorgio, al prato verde dei tanti stadi che lo hanno visto combattere come un eroe indomito, sceso dall’Olimpo all’Olimpico.
Dalla vita di quartiere, dalla scuola, dai compagni di pallone, al mito popolare di una città che l’ha amato, venerato e idolatrato come un dio pagano: se capitan Giannini, suo modello ideale di riferimento, era detto “il principe”, Francesco è stato il vero re di Roma.
«Il tempo di un match sportivo condensa e riassume la vita intera di chi lo vive”. spiega Alex Infascelli, regista di “Mi chiamo Francesco Totti”.

Semplice, diretto, spontaneo, verace, generoso. 
Un ragazzo all'antica, maledettamente umano nei trionfi, come negli sbagli commessi, nelle sue intemperanze giovanili.

La sua è una voce genuina, straordinariamente sincera, a volte disincantata, a volte commossa.
È il racconto in prima persona di un ragazzo “normale”, o meglio che tale si è sempre sentito, ma che incidentalmente è stato uno dei più grandi giocatori dell’era moderna. Di sicuro il più grande della Roma, squadra e città che non ha mai voluto lasciare, malgrado i ripetuti corteggiamenti e i molti trasferimenti possibili - come quello delle sirene tentatrici del Real Madrid - che gli avrebbe portato coppe e trofei in grandi quantità.

Il film non celebra il campione, ma intende rivivere, senza alcun cedimento retorico o forzatura narrativa, una vita esemplare, con lo spirito genuino dell'uomo Francesco Totti. È l'autobiografia sincera di un fuoriclasse che non ha mai nascosto la sua vulnerabilità, la sua timidezza e la sua fragilità, che ripercorre la sua vita, fino a trovare, con autentico dolore, la forza di dire addio al gioco più bello del mondo.

Scorrono le pagine chiave di una vita da eroe popolare, anche se nel film non si raccontano i tanti episodi e i gustosissimi siparietti, descritti con compiaciuta ironia, nel libro “Un Capitano” di Paolo Condò e dello stesso Totti. I gol e le amicizie vere, i derby e gli allenatori, le invasioni di campo e la dichiarazione in campo a Ilary («6 unica»), lo scudetto e le infinite feste. Poi Vito Scala, il fidato e storico personal trainer («è sempre accanto a me ma non lo avete visto, eccolo...»), l’incidente, la paura, l’operazione, la resurrezione, il Mondiale, fino all’attrito con Spalletti. Fino all’ultima partita, culmine emotivo davvero indimenticabile. 
“Unico grande amore de tanta e tanta gente, c'hai fatto innammorà…”

Nel giorno dell’addio, mentre la società Roma lo "pensiona", la città e il mondo del calcio lo saluta, con una grande festa, con un tributo d’affetto e di stima eterna, tra lacrime, tristezza e commozione. 
Quanto amore quel giorno in quello stadio. Quanti diversi e contrastanti sentimenti hanno affollato e toccato quegli spalti.
Quanta emozione, quanta passione, quanta sofferenza hanno segnato quei volti senza età, sopraffatti dal pianto e dal dolore. 
Quante lacrime hanno trasformato l’erboso Olimpico in un mare di emozioni che potevano toccarsi, stringersi scambiarsi.

In quella cornice di dimenticato romanticismo e di valori sani, si è scritta una straordinaria pagina di partecipazione popolare, di orgoglio sportivo, di passione collettiva, di affetti liberati e veri che hanno la forza di tramandare i miti e raccontare la leggenda. 
Si è scritta la pagina dell'amore e della grande bellezza. 
Perché a Totti non si può non voler bene, anche se non si è romanisti. 
Per le sue prodezze balistiche, che ci ricordano di cosa fosse capace sui campi da gioco, per la spontaneità disarmante che lo accompagna, sia che si tratti del Totti "romanticone", come si autodefinisce, o di quello fumantino, che scalcia gli avversari che lo sfottono e gli fanno male. 

Su questa narrazione di borgata, finisce - dopo 25 stagioni, dopo ottocento partite e dopo aver segnato oltre 300 reti - la storia di sport e di passione del ragazzino di Porta Metronia, innamorato di Roma e della Roma, cresciuto a pane e pallone in una famiglia sana e semplice, che l’ha aiutato a pensare, a scegliere, ad amare.
Ma non svanirà la sua bella immagine di un calcio pulito, di bravo ragazzo generoso che centrava le paperelle col pallone, di icona popolare, di idolo e modello di almeno tre generazioni, per le emozioni che ha saputo regalare.

Mentre fuori campo risuona la voce del campione, con le sue parole smozzicate, il suo lessico schietto e genuino, che ancora conosce il pudore e che davanti a certe immagini abbassa la voce: «Ero forte, eh...».
18 novembre 2020 (Alfredo Laurano)








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