martedì 1 dicembre 2020

HO VISTO MARADONA /2171

I napoletani lo chiamavano “Isso”, cioè Lui, il Dio del pallone. El pibe de Oro. 
Lo identificavano con la città, in quanto più napoletano dei napoletani, nato per caso in Argentina. 
Genio, mito e leggenda, campione universale e artista del pallone, ma uomo in balia delle sue fragilità, distrutto dai suoi impulsi, dai suoi limiti culturali, affettivi, emotivi, passionali. 
Una vita di eccessi, fra droga e alcol, Maradona provava a liberarsi delle sue dipendenze, grazie a lunghi soggiorni in centri di disintossicazione. 

Ma anche generoso con tutti. Cercava di aiutare chiunque avesse bisogno, come dicono migliaia di testimonianze, pur fra amicizie equivoche e pericolose e conflitti con lo Stato italiano per evasione fiscale di parecchi milioni. Tutti ricordano che quando Maradona faceva ritorno in Italia, nella sua amata Napoli, la Guardia di Finanza lo aspettava al portellone dell’aereo e gli sequestrava Rolex, orecchini e qualsiasi cosa di valore avesse addosso. 

Forse perché nato poverissimo e proiettato al riscatto sociale. 
Da Fidel Castro a Chavez, alla militanza politica nei partiti progressisti latinoamericani, per i quali ha dato molte volte la propria faccia, sostenendo l’anti-imperialismo. 
L’essere di sinistra per il Pibe de Oro, deciso di diventare una sorta di Guevara del pallone, era molto più di un tatuaggio del 'Che' sul braccio e uno di Fidel sulla gamba. Un simbolo rivoluzionario in calzoncini, capace di vendicare le umiliazioni latino-americane da parte dell’«imperialismo», appunto con gesti allusivi e metaforici, come il goal di mano ai «pirati» inglesi. 
Una ideologia che comunque corrisponde anche al suo mito nel Napoli, come squadra «perseguitata» dai «poteri forti» delle squadre del Nord. 

Diego Armando Maradona - l’uomo che da bambino dormiva abbracciato al pallone - era nato a Lanús il 30 ottobre 1960, quinto di otto figli. Cresciuto a Villa Fiorito, sin da bambino mostra tutto il suo talento al punto da finire appena a 10 anni sulle pagine del "Clarín". Entra nel settore giovanile dell'Argentinos Juniors dove debutta nel massimo campionato il 20 ottobre 1976, dieci giorni prima di compiere 15 anni. Nel 1981 il passaggio al Boca Juniors e già un anno dopo l'arrivo in Europa: se lo assicura il Barcellona per 1,2 miliardi di pesetas. 
Debutterà in blaugrana nell'agosto 1982, ma l'avventura in Catalogna è contrassegnata da vari problemi fisici e nell'estate del 1984 passa al Napoli per 13 miliardi e mezzo di lire. 
Il Pibe diventa subito un idolo del pubblico partenopeo: con lui arrivano due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e una Coppa Uefa. 
La sua esperienza italiana si chiude il 17 marzo 1991, quando risulta positivo alla cocaina e viene squalificato un anno e mezzo. 

Ed stata proprio la cocaina la sua compagna di vita. Il suo amore e la sua condanna: sono passate donne e figli, con l’unica costante della polvere bianca. 
Autentico prototipo del genio e sregolatezza, che ha distrutto se stesso, in un graduale annientamento di sé, un lungo suicidio annunciato. 
Ma sarebbe ingiusto e sbagliato liquidare Maradona come un cocainomane, ricco, anaffettivo e frequentatore di mafiosi. 
E’ stato molto di più di un campione, è stato unico: un umile proletario che ha riscattato la sua povera condizione e che tramite il calcio ha regalato gioia e felicità al mondo, fra trionfi e fallimenti, fra ribellioni, nostalgia e pentimenti, fra contraddizioni e soprattutto esagerazioni, fra miseria e nobiltà. 
E’ stato soprattutto uno straordinario fabbricatore di sogni e di illusioni, infinitamente amato, venerato e osannato, soprattutto dai diseredati, dagli ultimi, che ne hanno fatto un'icona e una reliquia, un motivo di rivincita e identificazione, compensando spesso le proprie vite, piene di problemi, difficoltà, amarezza e fatica. Basti osservare cosa è successo, in questi giorni, nella sua Napoli e nella sua Argentina. 

Adesso tutti lo piangono e lo rimpiangono, spesso con esagerata enfasi ed estremo fanatismo, come, fino a ieri, a Napoli, era rivolto e dovuto solo a S. Gennaro. O come a Buenos Aires, dove dal momento della notizia della sua morte, è stato un susseguirsi di stati d’animo e di umori, di gente per la strada a cantar inni da stadio e di tafferugli di rivoltosi indiavoliti. 
Nel bene e nel male e senza santificarlo, adoreranno un mito, arrivato troppo presto nella storia, che ha cancellato in un momento un uomo vulnerabile, incapace di resistere al peccato, alle tentazioni, alle lusinghe e alle facili seduzioni. 
Ma pur sempre, di indiscutibile genialità, altruismo e umanità. 
28 novembre 2020 (Alfredo Laurano) 

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