martedì 10 luglio 2018

UNA GITA GROTTESCA


La bocca semi aperta della montagna cattiva sta rilasciando pur fra mille difficoltà, contorsioni, anfratti tortuosi, luoghi angusti e fiumi d’acqua, i suoi giovanissimi prigionieri, che aveva prepotentemente fagocitato. La vicenda dei ragazzini thailandesi, incredibile ma vera, sta tenendo in ansia tutto il mondo.
Si trovano a tre chilometri di distanza e 800 metri di profondità dall’ingresso della grotta. hanno bevuto per quasi venti giorni acqua piovana, mangiato probabilmente insetti e forse pipistrelli.
Intanto, si continua ad aspirare acqua, pompare aria nelle caverne, attrezzare il “percorso” con cavi, sensori, luci e punti di soccorso, a insegnare ai ragazzini minimi rudimenti di nuoto subacqueo e a utilizzare respiratori ed erogatori d’aria.
Da due giorni, sono partite le operazioni di salvataggio nelle quali sono impegnati tredici sommozzatori specializzati stranieri e cinque thailandesi: devono trasportare i ragazzi fuori dalla cavità, dove hanno trovato riparo, attraversando cunicoli bui e invasi dall’acqua e dal fango.
Prima di farlo, hanno sistemato lungo il percorso le bombole di ossigeno.
Ci sono due sub per ogni ragazzo, che viene legato a un soccorritore che lo guida con corde, guanti e bombole d'aria, prima nella parte sott’acqua e poi nel tragitto da percorrere a piedi, attraverso stretti passaggi e seguendo le funi e i segnali luminosi sul percorso. È una lotta contro il tempo: nella zona piove moltissimo e l'acqua dentro le grotte risale, anche se per ora viene tenuta sotto controllo.
Gli otto ragazzi già usciti sono in ospedale, affaticati ma in buone condizioni, Non hanno ancora potuto riabbracciare le famiglie, a causa del rischio di contrarre infezioni: i familiari possono vederli solo attraverso un vetro.
Oggi, salvo imprevisti, dovrebbero concludersi le operazioni di salvataggio della squadra dei dodici piccoli calciatori e del loro allenatore dalle grotte di Tham Luang, nel nord della Thailandia, tra ambulanze, infermieri, volontari, elicotteri, soccorritori dell'esercito e anche i 1300 giornalisti giunti da tutto il mondo, oltre ai parenti dei ragazzi.

Tutto questo ricorda la tragedia di Alfredino Rampi a Vermicino del 1981, la prima, in assoluto, seguita mediaticamente, in diretta, minuto per minuto, che sconvolse tutti gli italiani, e non solo, davanti ai televisori o incollati alle radioline. Fu il primo esempio di cronaca-spettacolo, di partecipazione popolare indotta dalla televisione, dagli speciali, dalla stampa e dalla presenza massiccia sul luogo di tecnici, esperti, soccorritori, esercito, trivelle e mezzi di ogni tipo, che suscitò profonda emozione e dolore collettivo. Anche nel presidente Pertini, sensibile e commosso, come tutti, presente a lungo accanto al famigerato pozzo.

Ma, per fortuna, al di là del clamore mediatico, in questo caso thailandese le cose stanno procedendo spedite e tutti aspettano la conclusione di una missione, difficile e delicata, che neanche Indiana Jones avrebbe potuto immaginare.
Chissà se alla fine di questa assurda storia, grottesca in tutti i sensi, il giovane allenatore-guida, sopraffatto dai sensi di colpa, farà karakiri. 
(Alfredo Laurano)

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