mercoledì 18 luglio 2018

DITECI PERCHE'

Stasera, un ennesimo speciale di Chi l’ha visto? torna sul caso Vannini per approfondire i fatti e le recenti motivazioni della sentenza del 18 aprile scorso. Una sentenza che, diciamolo subito, ha soddisfatto e premiato solo il collegio di difesa degli imputati che ha portato a casa un più che soddisfacente risultato. 

Secondo la Corte d’Assise, l’imputato Antonio Ciontoli avrebbe deciso per “la tutela dei propri interessi piuttosto che per la salvezza del ferito”. 
Una affermazione netta che comunque sarebbe emersa durante il dibattimento: più volte, quella sera, avrebbe fatto riferimento al fatto che quello che stava avvenendo avrebbe rovinato la sua carriera. 

Sempre per la Corte - ma non per mamma Marina, per la stampa e per la stragrande maggioranza degli italiani che seguono, con trepidazione, la vicenda - “l’incidente” sarebbe accaduto in bagno e Ciontoli avrebbe scarrellato la sua Beretta calibro 9 “senza verificare che fosse scarica e in condizioni di sicurezza”. Viene quindi presa per buona la versione secondo cui l’imputato non si sarebbe reso conto dello stato della pistola, tesi che era stata fortemente contestata dal generale Luciano Garofano, perito di parte dei Vannini, secondo il quale una persona che usa armi NON PUO’ NON accorgersi del fatto che una pistola sia carica o scarica, fatto messo in evidenza da una apposita linguetta. 

Per gli altri tre imputati, condannati a 3 anni, non emergono nelle motivazioni particolari giustificazioni. 
Secondo la Corte “i tre avrebbero dovuto comprendere la drammaticità della situazione e attivarsi in prima persona per assicurare a Marco il più adeguato e rapido soccorso medico possibile”. 
La sentenza spiega inoltre che non può fungere da alibi l’essersi affidati al capofamiglia Antonio. Si legge nelle motivazioni che “Se è pur vero che il Ciontoli, come capo famiglia e, forse, come persona di forte carattere e personalità, avesse la possibilità di influenzare le decisioni dei propri congiunti, è ancor più vero che sia la moglie che i figli erano soggetti adulti, di cultura medio alta, e pertanto, sicuramente capaci di discernere autonomamente la veridicità di quanto veniva loro raccontato e di adottare condotte esattamente opposte a quelle in concreto tenute”. 
Non c’è nessuna deresponsabilizzazione, quindi: la pena di 3 anni è considerata nel pieno delle loro individuali colpe. 
Resta poi la posizione di Viola, che viene assolta perché il fatto non sussiste: non sarebbe stata nei luoghi in cui sarebbe stato per lei possibile accertare la reale gravità dei fatti, cioè non sarebbe stata, né in bagno, non avendo quindi la possibilità di vedere la pistola, né in camera da letto, dove veniva prestato soccorso a Marco. 
Motivazioni che, in definitiva, appaiono piuttosto tecniche e formali, lontane, forse, dalla realtà dei fatti, dai veri perché alla base della tragedia, dagli eventuali risvolti psicologici e dai rapporti interpersonali e oggettivi, intrattenuti dai vari attori di questa incredibile storia di straordinaria follia familiare. (Alfredo Laurano)

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