giovedì 19 luglio 2018

PER DUE SOLDI, UN CALCIATORINO MIO PADRE COMPRO’


Per una volta, ma, in verità non è l’unica, ragioniamo da tifosi, da appassionati del pallone, da amanti del proprio campanile, che hanno il cuore grosso, mezzo giallo e mezzo rosso.
Così, tanto pe’ parla’, tanto per sfogarsi un po’.
Come premessa o, se preferite, come conclusione di una triste riflessione, quasi ideologica e fideista, voglio affermare che bisognerebbe trovare la forza e il coraggio di uscire da questo ridondante carico del tifo, di rinnegare quella logica ormai assolutamente commerciale che ha svilito ogni dimensione sentimentale che ruota intorno allo sport più bello del mondo. Quel sistema affaristico e mercantile in cui sguazzano le società di Calcio, che cancella sempre più la spontaneità e le emozioni forti che ci hanno guidato fin da ragazzini e accompagnato la nostra sana crescita, quando prendevamo a calci un improbabile pallone, nei polverosi campetti parrocchiali o di periferia.

La prepotente e odiatissima Juventus, da sempre squadra dei padroni, ha comprato anche Ronaldo, a cifre da capogiro, immorali anche per il più convinto degli speculatori.
Da sempre, è regina del mercato, da sempre prende chi vuole, impedisce ad altri di acquistare in libertà, ricatta chi è in difficoltà e compie il colpo grosso. È una società di grandi capitali, che investe e spende secondo brillanti logiche liberiste che portano risorse e lauti guadagni, a breve o a medio termine. E non sbaglia mai un affare: se cede un “campionissimo”, lo fa per una strategia vincente e per avere di meglio e di più di quanto avesse già.

Al contrario della ridicola A. S. Roma, già Rometta, il club dei lupi famelici, ma sdentati.
La società che ha avuto per vent’anni un fenomeno, fatto in casa, al quale poco o niente ha fatto vincere; che non è stata capace di costruirgli intorno un grande e costante squadra; che gli ha fatto chiudere la carriera in modo quasi vergognoso, grazie a un allenatore spocchioso, invidioso e vendicativo.
Quella stessa società pallottiana e americana che pensa solo al nuovo stadio e al merchandiser, che ha segnato il declino in un sogno antico, di un idillio unico e senza fine, davanti a speranze deluse e inconcepibili logiche da business.

I campioni più amati si vendono alla fiera, perché fanno cassa, e si prendono le pippe, le mezze pippe, i fisicamente rotti o gli scarti Juventini: via Pianic, via Benatia, via Rudiger, Emerson Palmieri e, soprattutto, via l’imprendibile Salah. E via, oggi, l’arcigno Nainggolan e Alisson, il portiere più forte del mondo, che assicurava almeno venti o trenta punti in campionato e prestazioni degne in Champions League.
Dentro, i grandi affari di incapaci, emarginati e poveretti: i vari Defrel, i Gonalons, gli Schic, i Gerson, i Moreno e il biondo Karsdorp, visto solo in figurina e che non sappiamo nemmeno se cammina.
E non è finita qui, aspettiamoci di vedere al banco dei saldi di stagione gente come Perotti, come El Sharawi, come Manolas, come Florenzi e non so chi altri ancora. Dipende sempre e solo dalle offerte che arrivano agli avidi padroni americani, illuminati da un direttore sportivo, incapace e venale, come Monchi.

In questa Roma, che fu dei Sensi e dei Viola, già core de na città, unico grande amore de tanta e tanta gente che faceva sospirà, gialla come er sole, rossa come er core mio”, il calcio viene dopo, assai dopo, o solo per giustificare la ragione sociale, anche quando Pallotta fa il bagno nella fontana di Piazza del Popolo, per darla calda - come si dice qui - e per ingannevole folclore, quanto basta, di fronte a ingenui fan che pagano il biglietto.
Per tutto questo occorrerebbe scioperare, dismettere l’abito da tifoso, non andare più allo stadio, non sottoscrivere abbonamenti alle Pay TV, non dare più una lira a questi americani.
Ma tutti noi, malati d’amore, siamo o saremmo mai capaci “de non facce più incantà?(Alfredo Laurano)



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