mercoledì 4 luglio 2018

TE LO RUBIO

In TV, ma anche nella realtà che racconta e rappresenta, mangia di tutto, di crudo, di cotto, di pescato, di colto, di offerto, di trovato per caso: ovviamente con le mani, “unte e bisunte”, come recita il titolo di una sua trasmissione.
Si fa chiamare Chef Rubio, ma all’anagrafe è Gabriele Rubini, trentacinquenne di Frascati, ex rugbista, personaggio emergente televisivo e cuoco italiano, senza ristorante. 
Nel panorama della gastronomia mediatica è forse il personaggio più cool e stravagante del momento, rozzo e coatto quanto basta, e può davvero ambire a diventare cult, se non addirittura pop.
È l’antipapa dei più noti chef stellati - Cracco, Barbieri, Bastianich, Bottura, Cannavacciuolo - che brillano di autoreferenzialità, imperversando sul piccolo schermo e sulla stampa; è l’antitesi della raffinatezza e del bon ton, il castigatore folle delle impiattature artistiche, delle note organolettiche, dei gusti e dei contrasti, delle porzioni promesse, ma rimaste sul menù, delle tavole curate ed eleganti.
Rubio è un selvaggio che si abbuffa, un troglodita della cucina di sostanza che si contrappone a quella d’élite e ricercata, che vuole stupire con effetti speciali di forme e colori. È un semplice abitatore-visitatore di caverne provviste di forni e di fornelli, felice e consapevole della sua naturale primitività.

Dopo esser stato a lungo in Nuova Zelanda per inseguire il suo sogno di diventare un professionista della palla ovale, qui, dall'altra parte del mondo, ha iniziato ad appassionarsi di cucina, perché gli piace mangiare, divorare, dominare il cibo, che ingurgita e cattura forse come preda. 
Vederlo all’opera, alle prese con una coscia di pollo, un pezzo di manzo o di pesce crudo, mentre sbrodola, perde fettuccine dalla bocca, si lecca le dita e disconosce forchette e coltelli, fa una certa impressione per non dire schifo. Dettagli e primi piani, più che studiati dalla telecamera che lo segue, consacrano le sue raccapriccianti avventure, non proprio da gourmet.
Così è diventato Rubio, lo chef meno convenzionale di tutti, ruspantissimo e tatuato, dalla battuta pronta e spesso greve, dai modi schietti che assecondano un look popolare, con baffi a manubrio e barba mal curata: uno stile inconfondibile che ricorda, pur in ambito diverso, il burbero Thomas Milian, nel rutilante ruolo der “Monnezza”.
Girando l'Italia in lungo e in largo, anche con la trasmissione “Camionisti in trattoria”, descrive e documenta i colori e i sapori dello street food e della ristorazione a carattere familiare, dove prevale l’abbondanza e la succulenza. 
Chi non conosce, almeno per sentito dire, le famose trattorie dei camionisti, quei ristoranti in prossimità delle reti stradali, che offrono il miglior rapporto qualità/prezzo, spesso luoghi segreti, vere e proprie “chicche” conosciute solo da una ristretta clientela di affezionati? 
In ogni puntata, tre diversi truck driver, gli raccontano le loro storie e come si fa a “vivere” sulla strada, lo ospitano a bordo dei propri mezzi per portarlo nel loro regno culinario preferito. Rubio interagisce con cuochi e proprietari, entra nelle cucine, si fa raccontare le specialità del posto e poi le ingurgita con l’imbuto della fame e della gola.

In ogni caso, tra i vicoli delle città d’Italia, fra mercati, ambulanti e cibi poveri della tradizione, si sporca le mani sul serio, interpreta i sapori e gli umori di un’Italia diversa da quella patinata, impacchettata a tavolino dagli altri grandi cuochi della TV, che hanno saturato il settore e ormai rotto le palle della più santa sopportazione.
Perché il cibo non è fatto di gare, di sfide, di premi, di master chef e politica delle stelle, ma di semplicità, gusto ed emozioni. 
E il trucido Rubio questo lo sa e ha scelto di raccontarlo in modo nuovo, provocatorio, dissacrante e genuino, come quello di una volta. 
(Alfredo Laurano)

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