giovedì 26 luglio 2018

DISPREZZANDO VALE


E’ vero che, ormai, se sei scemo, ignorante o incivile, grazie ai social, hai il privilegio di farlo conoscere rapidamente a tutti. Prima, lo sapevano in pochi, in famiglia, al bar, alcuni amici e conoscenti di paese o di quartiere.
Un’orda di casalinghe stanche, bande di ragazzini prepotenti e bulli, un esercito di invasati, di repressi, di malati, di invidiosi e di webeti comuni insultano chiunque, a prescindere da ciò che scrive, esprime e pubblica. Si fomentano reciprocamente al meeting motivazionale dell’imbecillità e dell’esibizionismo sgrammaticamente parolaio, nella speranza di vincere il premio del più cretino, all’unanimità o a maggioranza, o l’alloro accademico dello scemo del villaggio (globale), di una volta, che si è trasformato in citrullo telematico - il cui raglio spesso procura gravi danni non solo alla comunità virtuale - o di celebrarsi, gratuitamente, nella notte degli oscar dei coglioni viventi.
E’ il sistema di marketing piramidale e popolare che, purtroppo, producono il web e i social, e che andrebbe vietato per legge ai minori, ai minus habens, agli analfabeti, più o meno funzionali, e agli incapaci. E’ la grande piazza virtuale che non vende frutta e verdura, ma scampoli di pensiero, spesso malato o tristemente deviato.

In questa grande chiavica, in questa cloaca massima putrescente, dove ciascuno sversa, abusivamente, il proprio letame morale e culturale, galleggia e si condensa odio, violenza e cattiveria. Nessuno ascolta più, se non se stesso, nessuno si sforza di capire l’altro, di accettare l’altrui pensiero, se non coincide col proprio o se diverso. Trionfano giudizi, pregiudizi e raffiche di insulti.
Dove è finito il rispetto, il civile confronto, la sensibilità, l’umanità?

Come sempre, come accade in ogni occasione che la cronaca o l’attualità fornisce, la mia amica Giulia Bettini colpevole, come tanti, come tutti e come il sottoscritto, di aver osato scrivere un paio di innocenti riflessioni - sobrie, pacate e misurate, come nel suo elegante stile - sul Marchionne uomo, è stata subissata di ingiurie, di battute e di facile ironia da donne, uomini, mezzi uomini e umanoidi vari, senza patria, né cervello.
L’hanno aggredita, offesa e vilipesa, ridicolizzata e coperta di volgari allusioni, di parolacce ed improperi. L’hanno accusata di ipocrisia, pochezza culturale e banalità.
Il solito, stonatissimo coro polifonico delle accuse, delle insinuazioni, delle malignità gratuite e preconfezionate, sparate a caso nel mucchio, per far rumore e senza distinzioni.
Non serve capire, conoscere, aver contezza, importa spargere veleno e volgarità, pur di esercitare l’abusatissimo diritto al disprezzo dell’altro: sempre nemico, sempre in torto, sempre impuro o criminale, da condannare, senza processo, dall’alto del proprio presunto rigore morale, da integerrimo giudice fariseo.

E’ ormai un rito collettivo, quasi un bisogno fisiologico, cui non ci si può sottrarre, come mangiare, respirare e segnare il proprio pezzettino di vanesio territorio, come gli animali.
Chiunque si sente in dovere di diffondere calunnie o opinioni a cascata o rubate al primo cazzaro digitale di passaggio, pur di illudersi di esistere, di contare, di avere un ruolo e uno straccio d’identità, nel tentativo di emergere dalla mediocrità e dall’oblio esistenziale o per riscattare proprie ferite e umiliazioni, sociali o personali, riversandole sugli altri, o per inconscio rito apotropaico che allontani il male da sé.
Costoro fanno parte a pieno titolo dello smisurato plotone dei cecchini digitali, di cui ho parlato tante volte, appostati notte e giorno sui tetti della ottusità, per colpire a tradimento.
Sparano e spalano fango, questi vili professionisti dell’invettiva, che ormai dilagano e si riproducono più dei vermi e dei conigli. Frustrati mercenari del rancore e della rabbia repressa: ogni occasione è buona per riaffermare la propria ingiustificata imbecillità. Ignorano i fatti e le persone, non distinguono, non argomentano, ma giudicano comunque e, a comando, sputano sentenze.
Non sanno che la libertà di ciascuno, anche in Rete, finisce dove inizia quella dell’altro e le leggi vigenti già fissano confini chiari e certi.

Tutte le opinioni meritano rispetto ma, prima di impugnare il mouse e la tastiera - nuove armi della endemica, selvaggia e permanente guerra del Web - ognuno dovrebbe domandarsi se e quanto sia legittimo o nocivo il proprio commento e quale effetto produrrà sugli altri, colpiti da quelle parole, come proiettili o dardi acuminati.

Mi piacerebbe conoscerli davvero costoro, guardarli in faccia questi miserabili senza volto e senza vergogna, spregevoli esemplari, reali e non virtuali, che si nascondono dietro uno schermo anonimo e livellante, che sparano col mouse come un mitragliatore.
Su questi vili e laidi cecchini digitali, sputerei volentieri tutto il mio disprezzo: reale e non virtuale.
Per usare una metafora, poco sottile, ma efficace, mi fanno veramente schifo.
 (Alfredo Laurano)

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