giovedì 14 dicembre 2017

E ALLORA, BOMBE

Dopo 48 anni, non ci sono colpevoli ufficiali della strage di piazza Fontana, alla filiale della BNA di Milano. E, come ha detto il capo dello stato, dobbiamo perseguire la verità (ancora).
Ieri, 12 dicembre, è stata commemorata, con un corteo ed altre manifestazioni, quell’atroce evento (17 morti, 88 feriti) che segnò l’inizio della cosiddetta “strategia della tensione”, una terribile catena di sangue e di terrore, che a lungo condizionò e mise in gioco la stessa vita democratica e del Paese. Altre stragi, bombe e attentati -  piazzale della Loggia a Brescia, l’Italicus, la stazione di Bologna - seguirono per anni, provocando altro sangue, lacrime e tante vittime innocenti.
La paura di un intero popolo, esterrefatto da tanta inaudita violenza, si trasformò in una grave e reale minaccia eversiva per la democrazia.

Ancora oggi, dopo anni di indagini e processi, di menzogne e depistaggi, nulla o quasi sappiamo, con certezza, di quella assurda sequenza di eccidi, fondata sul terrore e sulle manovre oscure di fascisti e di pezzi deviati delle istituzioni e dei servizi, che lavoravano in modo occulto e violento contro lo Stato: un fronte parallelo che rispondeva, nell’ombra e nel segreto, alle lotte sociali e operaie del tempo. 
Venivamo dalle idee pericolose e rivoluzionarie del ’68 che, in qualche modo, dovevano essere represse o cancellate, anche attraverso vergognosi attentati. 
Bisognava contribuire a riequilibrare i poteri e il principio autoritario, messi in crisi proprio da quelle tematiche sessantottine, che facevano paura perché, per la prima volta, mettevano in discussione lo status quo, il potere costituito, le gerarchie e i privilegi sul piano culturale, sociale e del lavoro. Che predicavano il rinnovamento, un'aria nuova, pulita e libera, una partecipazione più attiva e democratica, una consapevolezza dei propri diritti, una più diffusa presa di coscienza. E allora bombe.

Come poco o niente sanno le nuove generazioni, nostri figli e nipoti, di quella triste storia, che non si studia a scuola o nelle università. Ignorano i fatti, le vicende di Calabresi, di Valpreda e dell’anarchico Pinelli, “suicidato” dallo Stato. 
Le loro risposte sono imbarazzanti, confuse e disinteressate e affastellano, nello stesso calderone, mafia, brigate rosse, anarchici e criminalità comune. La loro informazione sui fatti è del tutto inesistente o diversamente approssimativa: per “sentito dire”. 

Ignorare e dimenticare quel tragico pezzo di vita sociale e politica, che a lungo ci ha sconvolto, espone alla possibilità di essere ancora vittime di certe logiche politiche e di potere e dei continui e incessanti rigurgiti di fascismo. 
Le cronache quotidiane ce lo dimostrano.
13 dicembre 2017 (Alfredo Laurano)


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