venerdì 8 dicembre 2017

ANCORA LUI, L’ISTERICO CAFONE

Non so quante volte ho parlato e scritto di Sgarbi, quello della capra, quello che nel tempo libero si spaccia per storico dell’arte, l’assenteista che percepisce gettoni e compensi senza partecipare alle sedute. Quello, appunto, degli sgarbi, degli insulti e parolacce che consuma a oltranza tutti i giorni, nel suo costante delirio di arroganza e prepotenza.
Quello che, per appagare il suo smisurato narcisismo e l’innata megalomania, si rivela essere un saltimbanco in cerca di potere, ricchezza e venerazione.
Quello che ho già definito il peripatetico del teleschermo, che si vende, passeggiando e diffamando, al miglior portico offerente, facendo leva su una dialettica logorroica, che non può e non deve essere interrotta o contenuta.
Da trent’anni, almeno, il bavoso invasato offende tutti a spada tratta, aggredisce qualsiasi interlocutore in un crescendo di violenza verbale intollerabile.
Spesso mi domando, e non sono il solo, come mai nessuno lo prenda almeno a schiaffi (a parte, quello unico e storico di Roberto D’Agostino).
Come mai non intervenga la psichiatria ufficiale, con qualche efficace TSO o, quanto meno, un capace esorcista.  

Stavolta, l’esagitato pagliaccio sempre in onda, ce l’ha con il magistrato palermitano Nino Di Matteo, che il defunto Totò Riina, intercettato in carcere mentre auspicava un attentato nei suoi confronti, aveva condannato a morte (doveva fare “la fine del tonno” come il giudice Falcone), nonché già oggetto di un piano omicida ordinato da Matteo Messina Denaro, svelato da un pentito.
“Il pm Antonino Di Matteo? Ha tratto vantaggio delle minacce di morte ricevute, ha cavalcato l’onda per fare il martire”. Ma non lo è, tanto è vero che Riina è morto e lui è stravivo.  Quante cittadinanze onorarie ha avuto dopo le minacce? Che bisogno c’era di raccontare al mondo quelle intercettazioni, diffuse ovunque, da cui ha tratto beneficio?”. Si, certo, quello di vivere da anni minacciato, costantemente sotto scorta, da mattino a sera, senza più avere una vita autonoma, personale, un momento di libertà.
A queste pesantissime accuse lanciate dallo Sgarbi quotidiano, appena nominato assessore ai Beni Culturali in Sicilia dal neogovernatore Musumeci, il pm non ha replicato: “è stato già rinviato a giudizio per diffamazione aggravata nei miei confronti".

Le parole disgustose di questo perduto folle, già sindaco di un Comune sciolto per mafia (già solo questo fatto avrebbe dovuto sconsigliare l’ennesima sua nomina) sono volgari e inaccettabili e non possono più esser tollerate.
Da sempre scredita, infanga e attacca i magistrati, a prescindere, forse per paura repressa o per inconfessata ammirazione dei potenti e dei mafiosi, di cui subisce il fascino perverso.
Le sue affermazioni sono un affronto alla civiltà e alla legalità! In un paese normale sarebbe emarginato da ogni incarico o spazio pubblico, quale elemento nocivo, pericoloso e diseducativo.

In ogni caso, uno così, vittima delle sue ossessioni e malato cronico di egolatria, deve essere cacciato, almeno dalle Istituzioni, oltre che dalle TV e dai talk show.
Anche, perché, per rallegrarci ancora, ha fatto sapere che, se alle prossime politiche vincerà l’armata berlusconiana, gli è stata già promessa una poltrona da ministro.
Del nulla, dell’insulto, del furore, della pubblica incultura. (Alfredo Laurano)



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