martedì 3 ottobre 2017

LUNA PARK

Da troppo tempo, ormai, le parole non bastano più, non hanno più senso o diventano inutili, ripetitive e retoriche davanti a tali assurdità. Costituiscono un refrain che si ricompone ogni giorno, che non scade mai ed è sempre di tragica attualità. Con la stessa musica funebre, di vari autori.
Il mondo è unito dalla comunicazione in tempo reale e le tecnologie hanno abolito le distanze geografiche tra le cose e le persone e favorito l'evoluzione degli individui. 
Ma non per tutti, non per i terroristi, non per i folli squilibrati, non per i vendicativi, non per chi non ama la vita propria e quella degli altri, non per chi è pervaso dal demone della cattiveria, dell’odio sociale, della crudeltà, del fanatismo religioso e della miseria umana e culturale.
Non per chi conserva e coltiva tutte le sue contraddizioni perché non è in grado di abbattere le frontiere, anche psicologiche, di superare le divisioni degli esseri umani e garantire il rispetto, il pane e i diritti delle persone.

E quindi, ancora, ennesima, incredibile strage americana a Las Vegas, la città del gioco, del piacere, del divertimento, stavolta non condita di terrorismo, non di attentato, ma sempre sulla piazza. Come al Luna Park.
Sessanta vittime, oltre a centinaia di feriti, che nemmeno si sono rese conto di ciò che stava succedendo, se erano fuochi d’artificio, effetti speciali oppure un tiro a segno libero, dal trentaduesimo piano di un hotel. La stessa polizia ha impiegato del tempo a capirlo.
Vittime, come sempre, innocenti e impreparate, ognuna con una propria vita, una famiglia, un sentimento, un lavoro, un perché. 
Vittime, a casaccio e senza senso, di un insospettabile uomo qualunque, del pazzo hobby di un cecchino pensionato, appassionato di gioco e di armi.

Stragi che si consumano, ormai quasi quotidianamente, da quelle senza fine dei migranti (oggi sono quattro anni da quella più corposa nel cimitero Mediterraneo), a quelle dei terroristi, dei nuovi barbari, e delle varie forme perverse del potere. 
Ma non hanno più audience, non trovano molto interesse e lasciano piuttosto indifferenti. Cioè, non fanno più notizia, rientrano nella normalità, nella routine quotidiana.
Sono come una fiction di Raiuno, una soap opera che si guarda, distrattamente, mentre si mangia e si chiacchiera o un videogioco fra i più imbecilli.
Sono come le notizie “meteo”: gli si dà un’occhiata, solo per sapere se bisogna uscire con l’ombrello o se fa freddo.
Quei poveracci, quei disperati, però, muoiono davvero. A chiunque tocchi, dovunque accada. 
In mare, in città, alle stazioni, sui ponti o nelle piazze. Per molti e per troppi, a pochi metri dalla riva o a pochi passi dalle speranze di chi vedeva il suo futuro, si infrangono e finiscono quei sogni, quelle legittime illusioni e il miraggio di vivere una vita, poco meno che normale. 
(Alfredo Laurano)


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