martedì 24 ottobre 2017

CHE BELLE QUELLE DONNE!

Le meravigliose femmine di Carlo Grechi - tristi, pensierose, vaghe, sognanti, annoiate, deluse, dolci, severe - guardano in solitudine le stesse acque che avvolgono il Castello “baciato dal mare”.
Straordinario gioiello di storia, cultura e archeologia, il maniero di Santa Severa - rimasto chiuso per oltre dieci anni di lavori di restauro, ha di recente riaperto i suoi spazi al pubblico, all’arte, agli spettacoli, alle visite all’interno di quelle mura, segnate dalla Storia.

Siamo in un luogo affascinante, a due passi da Roma, e, mentre timidamente il sole tramonta, anche attraverso le finestre di quelle antiche sale, la magia dell’arte si distilla e si discioglie in quella, cornice suggestiva, senza limiti e censure, che solo la natura e l’ambiente sanno regalare.

È tantissima la gente che visita la mostra di Carlo Grechi, che apprezza le sue opere, che le commenta, che rimane incantata da quei colori e quelle forme che costituiscono il suo “eterno femminino”, che ne raccontano la sua sensibilità pittorica: quelle donne sono l’essenza della femminilità percepita come mistero, incanto e fascino, cui l'uomo o l’artista s’arrende e vi soggiace.

Quelle donne che da sempre sono una “magnifica ossessione”, nelle loro mille sfumature, nelle pose, nell’animo, nei gusti, nei ricci e nei capricci. 
Sono, forse, anche l’espressione della sua idea della donna, amata e pensata nei suoi mille contorni, nelle sue infinite proposizioni.
O simboleggiano il suo intimo e inconfessato racconto di una ipotetica donna ideale, che tutte le comprende: nuda o vestita con abiti semplici, scalza, seduta, china, sdraiata, silenziosa o che comunica con lo sguardo e la postura, in un lirico linguaggio non verbale.
Sono eteree e carnali, sensuali e voluttuose, immaginarie e reali nello stesso attimo fuggente.
Vivono una dimensione propria, senza spazio e senza tempo, anche se rappresentate nella quotidianità, in ambienti naturali o familiari, come una casa, una stanza più o meno spoglia, un pavimento, una spiaggia, con un gatto, un tavolo, un letto, un libro, con un’altra sé stessa o accanto a una finestra per sognare. 
Fanciulle giovani, magre e senza orpelli che guardano al passato e al futuro, che si guardano dentro per scoprirsi fragili, ma vere, in un mondo nefasto, che osservano con distacco, anelando spazi lontani e speranze propizie.
Divinizzate, mitizzate, ossequiate, anche se normalissime fanciulle, per l’autore sono quasi creature superiori in un universo contemplativo e magico, dove l’amore si unisce al desiderio. Una legittima, piacevole e ricorrente attenzione, scevra, però, da ogni e qualsiasi risvolto morboso o patologico.

Ogni pennellata cattura un gesto, un particolare, un’espressione che scopre la forza e la bellezza di ciascuna. Gli sfondi, i contorni e le ambientazioni sono racchiusi nella misura di un singolo frame e non invadono più del necessario.
Sulla tela o sulla carta paglia, con la china, con l’acrilico o i pastelli, quelle figure restano sospese nel mistero della vita, ma sono autentiche e speciali. Ombre, luci e colori intensi tracciano la storia delle donne in ogni “inquadratura”, fino a farle diventare prima immagine, poi simbolo universale.

L’eterno, immutabile, fascino femminile esiste da sempre, nasce con il mondo, va oltre i miti, le mode o il costume, vive di luce propria nell’universo non solo maschile.
Nel piccolo Eden che ha costruito Grechi, lo stupore e il piacere si fondono con la spiritualità, alla ricerca di una difficile, ma forse possibile felicità.
E quelle femmine, che quel paradiso abitano, sono coinvolgenti, uniche, originali e non si fanno mai dimenticare.
Perché ognuna è donna, mistero senza fine.
22 ottobre 2017 (Alfredo Laurano)



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