lunedì 27 febbraio 2017

PRIGIONIERO NELL'INFERNO DEL DOLORE

Quando si parla di dolore e sofferenza, che non vivi direttamente sulla tua propria pelle, una profonda commozione ti prende dentro e da vicino e ti impedisce di capire a fondo quel desiderio di farla finita, di arrendersi al maligno nemico, di chiedere aiuto per lasciare una vita che ormai è solo inferno. Un po’ come accade per il bene, o con lo stato di felicità e di gioia, che non puoi conoscere se non lo provi o non sai cos’è.
E’ sempre difficile trovare una serenità di giudizio e la giusta condizione dello spirito per esprimersi sull’eutanasia e sul diritto a scegliere di vivere o morire e, soprattutto, assumere una posizione convinta e definita, del tutto laica e non condizionata da parametri sociali, valutazioni ideologiche, morali o religiose. E che, comunque, per non essere obbligo o privilegio, o qualcosa di illegale e clandestino, deve essere regolamentata dalla legge.

Morire come necessità, come scelta libera e consapevole, sembra innaturale.
Come si fa a riflettere con asettica razionalità, senza alcun coinvolgimento emotivo e sentimentale, su un tema così grande, così intimo, così delicato e personale, che sembra assai lontano e avulso da quello della semplice quotidianità che definiamo normale?
Ti assale l’ansia e l’inquietudine, un nodo in gola ti blocca le funzioni logiche e la coscienza si tormenta, trovandosi senz’armi a combattere, con impossibile obiettività, contro i misteri del mondo e dell’esistenza.

Fabiano, detto Fabo, aveva appena compiuto 40 anni, era cieco e tetraplegico e desiderava porre fine a una vita che non aveva scelto, "immobilizzato in una lunga notte senza fine", in seguito a un grave incidente stradale. Prima, era un giovane come tanti, pieno di vita, di gioia e di passioni e faceva musica.
Dopo anni di inutili terapie, aveva chiesto che le Istituzioni intervenissero per regolamentare l'eutanasia e permettere a ciascun individuo di essere libero di scegliere fino alla fine.
Era lucido e cosciente che non vi fossero possibilità di guarigione.
Una situazione terribile per una persona con un cervello sanissimo in un guscio vuoto, che non ha più un'autonomia, attaccato a una macchina per respirare e a un ventilatore per poter appena parlare, anche con qualche accenno d’ironia. Ma che non poteva nemmeno grattarsi il mento o un centimetro di pelle.
Quando la malattia ti consuma e offende nel corpo, ti umilia anche nella tua dignità di persona e l’anima rimane mutilata e spenta.
Un’agonia senza fine che “viveva” nella consapevolezza di essere un peso intollerabile per chi gli stava accanto e ostaggio di un corpo immobile che era diventato "una prigione infame", da cui, da poche ore, è evaso.
Ora, il suo inferno è finito, sia pure in un luogo diverso dalla sua casa e dal suo Paese, ma in grado di dargli un’ultima, consapevole possibilità di scelta.

Qual è il significato della parola vita?
In verità non lo sappiamo, ma per convenzione diciamo che è uguale a esistere, amare, mangiare, volere, fare, lavorare, scegliere, decidere. Pensiamo di essere padroni di noi stessi, del nostro corpo e del nostro destino, di nutrire speranze e desideri e non solo dolore e disperazione.
Ma era vita quella di Eluana Englaro, rimasta in stato vegetale per diciassette anni, o quella di Welby a lungo attaccato a un respiratore e finalmente aiutato a morire dal suo medico che dice: "non fu eutanasia, solo desistenza terapeutica"?
Può esistere il diritto di rifiutare le cure, l’accanimento terapeutico e di lasciarsi morire, considerando quella in cui ci si trova una situazione di non vita, al di qua della soglia biologica e svuotata di ogni valore o significato?
O bisogna scegliere la solitudine e la violenza di chi, come Lizzani o Monicelli, si è ritrovato costretto a gettarsi nel vuoto da un balcone o come Lucio Magri, andato anche lui in Svizzera con le sue gambe a farsi suicidare a pagamento?

A queste domande non so rispondere, non ho la presunzione di avere una certezza, tantomeno ideologica, ma solo la speranza di non dover essere mai costretto a farlo.
27 febbraio 2017 (Alfredo Laurano)

Forse per l'eutanasia si ripeterà quanto già avvenuto con l'aborto. 
Sarà legalizzata anche in Italia per evitare che chi può possa andare a morire in modo umano all'estero, dove non c’è il divieto della Chiesa.


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