domenica 26 febbraio 2017

DINAMICHE DI GRUPPO

Tra i tanti fenomeni che, negli ultimi anni, i Social hanno creato e, a volte, esageratamente scatenato, ci sono certamente i Gruppi, aperti o chiusi, di ogni genere e materia, formati da appassionati o sostenitori, uniti dallo stesso comune interesse o per lo stesso scopo.
Come, peraltro, le Confraternite, le Accademie e i Blog personali, più o meno di settore o specializzati in temi: arte, filosofia, storia, poesia, musica, pittura, informazione, critica, cinema, collezioni, cucina e baccalà.
Sono i nuovi circoli virtuali che ricordano quelli reali di una volta, letterari, artistici, politici o ricreativi, dove si passava il tempo discutendo di idee, di fatti e di programmi o, semplicemente, giocando a carte, fumando sigari o prendendo un the.

A volte, in alcuni, di questi Gruppi pubblici vi si leggono commenti e vivaci scambi di pensiero, intelligenti, colorite e anche interessanti note, velate di ironia, di stima, di affetto e di razionale concretezza.
In altri, che spesso travalicano il loro ruolo sociale, non si può fare a meno di cogliere, con crescente stupore, per non dire orrore, dialoghi e confronti al limite dell’insulto, della prepotenza, del settarismo. Soprattutto in quelli che, nati per promuovere solidarietà e vicinanza a chi è colpito da una tragedia e per chiedere giustizia e verità, finiscono per essere un manipolo di attacco alla magistratura, lenta, iniqua ed incapace.
La loro intransigenza è carica di responsabilità, non solo morali, nei confronti di vittime e familiari, da indurre forme di odio, di rappresaglia e di vendetta, come, di recente, è accaduto a Vasto.

In certi grotteschi casi, nella spirale di imprevedibili dinamiche, si scoprono surreali e a volte comici interventi di chi, in apparenza, è prodigo di buone parole, di consigli mai richiesti, di veleni, derisioni e accuse a mezza bocca, di goffe insinuazioni e avvertimenti un po’ mafiosi… “perché ti voglio bene”, “un giorno ti dirò”, “occhio, il nemico ti ascolta!”
Quelle comunità, già animate dalle migliori intenzioni, che predicavano valori e buoni sentimenti, diventano, via via, sempre più simili a inedite sette ideologiche, farcite di seguaci faziosi e intransigenti, al cui credo, universale e dominante, tutti si devono allineare e non dissentire mai, se non vogliono essere cacciati. Bande insensate, inflessibili comitati di pseudo potere marginale, dove regnano omologazione, sfacciata ignoranza e fanatismo, fino al rischio inconsapevole di pericoloso integralismo, di tipo religioso.

In quelle pagine, col tempo, si avverte chiaramente la mancanza di proposte illuminanti.
Si coglie la difficoltà di andare avanti, il ristagno di stimoli e di argomenti nuovi e originali, l’obbligo morale di scrivere, a tutti i costi e ogni giorno, una cazzata inutile e melensa, pur di testimoniare un ruolo attivo o una presenza.
Questa forma di stanchezza, di fatto, accresce la tensione interna, accende il malanimo e l’animosità e provoca invidia e rivalità.
Quando proprio non si riesce a partorire niente, arriva un ficcante buongiorno o una rinfrancante buonanotte a tutto il gruppo, ai genitori, parenti e a quanti di passaggio, con tanto di cuoricini intermittenti al seguito. Così, tanto per farsi un po’ notare!

Fra tanta noia e banalità, comunque, si persevera in un logorante esercizio retorico fatto di frasi e citazioni scontate ed abusate, di slogan e pensierini sempre uguali, catturati alla fiera dell’ovvietà, di cuori palpitanti, di fiori, mari, tramonti, effetti lampeggianti di tipo natalizio. Senza dimenticare cristi e madonne piangenti d’ogni tipo e nazionalità, padri pii esausti e intere colonie di angeli sognanti, mani protese o chiuse in intima preghiera.
Tante pallide icone pret a porter, di rapido consumo e fatte in casa, ma poco vicine alla sacralità e all’intima religiosità di ciascuno.
Un caleidoscopio intriso di forte emotività e di partecipazione a un ideale immaginario collettivo, condito e garantito da un marchio d’autore e qualità, in cui ci si identifica: “io sono…”, seguito dal nome della vittima. Una specie di parola d’ordine che ogni brava sentinella di quella rigida caserma deve pronunciare, per fedeltà e per non essere sparata o consegnata in branda.

Poi, per proseguire nei sentieri dell’autentico delirio, tra i cunicoli sotterranei dell’ossessione psicopatologica, c’è pure chi si inventa strani e inconcepibili vuoti esistenziali e animistiche presenze: “non ci sei, il tuo corpo non è con noi ma la tua anima scorre nei nostri cuori…sei pura energia, non è solo il tuo sorriso o il tuo sguardo ...c'è qualcosa, di straordinario, non tangibile... si sente la tua presenza e la tua assenza... sei sempre ovunque e sprigioni solo positività…mi manchi quando cammino, quando dipingo, quando dormo e quando faccio merendina…”
Manco ci fosse (stato) un rapporto familiare, d’amicizia, di frequentazione o di reale conoscenza con la vittima lì onorata e con amore ricordata.
Nemmeno i noti sensitivi Rosemary Altea o Craig Warwick, che vedono e trattano con angeli e defunti, speculando sulle disgrazie altrui, potrebbero fare o dire meglio!
Siamo entrati incautamente nel pittoresco mondo del paranormale, della metafisica umorale dei bisogni e delle pene, all’interno di un pianeta primitivo e alieno, dove la cultura medianica di fenomeni e misteri, appare più incredibile e patetica, che folclorica e ridicola.

Esiste, in realtà, un modo diverso, più efficace, più sano e più giusto per esprimere solidarietà: essere solidali significa partecipare, essere sensibili e altruisti, disposti ad assistere e ad aiutare gli altri in difficoltà, superando paure, egoismo e indifferenza, senza chiedere o aspettarsi nulla in cambio.
E’ un valore antico e senza tempo, un rapporto di fratellanza e di reciproco sostegno che collega gli uomini, consapevoli di appartenere alla stessa società e di avere obiettivi comuni, con dignità, ma senza manie di protagonismo.
Come fanno, per esempio, i volontari, sempre pronti al sacrificio e all’emergenza.

25 febbraio 2017 (Alfredo Laurano)

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