giovedì 23 febbraio 2017

QUELL’IDIOMA, “GENTIL SONANTE E PURO”

Tutti grandi critici, tutti raffinati esperti e commentatori - con la “t”, altrimenti, sarebbe un titolo onorifico, come “Cavaliere” o Grande Ufficiale” - del tutto e del nulla.
Oltre, a quelli già di ruolo, ovviamente ufficializzati dai media, imperversano ora quelli creati, sdoganati e nati come i funghi in ogni umido territorio della retorica del gossip parolaio.
Dilaga la mania di dire la propria, di sparare la propria cazzata, senza avere il porto d’armi dialogico e la minima competenza, in calce a ogni articolo di stampa, ai post su Facebook o su Twitter, nei serpentoni delle trasmissioni televisive.
Di giudicare con certezza, e senza neanche il beneficio del dubbio, gli scottanti casi di cronaca nera, gialla e anche rosa o puntinata: dai delitti più efferati agli amori di Belen, dalle tragedie naturali a quelle delle guerre e terrorismo, dalle migrazioni alla corruzione, alle politiche estere e sociali.
E’ di moda una nuova corrente di pensiero, quella di criticare, irridere, offendere chi esprime opinioni diverse dalle proprie. Di condannare senza appello, di incitare all’odio e alla vendetta, di augurare il male e il peggio: una montagna di insulti che equivalgono a massime e pensieri. Insomma, si spara a tutto ciò che si muove e appare nell’infinito orizzonte della notizia non stop.
Grazie all’universalità del Web, tutti hanno scoperto di poter avere un ruolo, anche se marginale o infinitesimale, e di contare - magari come un liscio a briscola - in quella sterminata prateria virtuale che fornisce, gratuitamente, stimoli e risorse per gratificarsi e rivalorizzarsi, anche all’ultimo degli ignoranti. Fino al compiacimento e al relativo appagamento formale, dato dal riscontro e dai like degli interlocutori.
Dappertutto, meno che nelle aule dei tribunali, si svolgono processi e arringhe popolari, dove è sempre più difficile distinguere le vittime dai violentatori, i narcisi dai tronisti, i predicatori dagli innocentisti, gli arzilli anziani della De Filippi dagli Amici di (della stessa) Maria, i politici dai comici, le controfigure dalle persone, le maschere dai volti umani. Si vive sempre più nella fiction quotidiana.
E’ come se di tutta la realtà, la civiltà della comunicazione globale ci mostrasse una volgare parodia, una caricatura, un fumetto, mal disegnato e approssimativo, dal Decamerone ai Promessi Sposi, passando per il Capitale e l’Enciclopedismo, fino al Calcio e al Futurismo. Molto peggio di quanto facessero, con intelligenza e ironia, il glorioso Quartetto Cetra o la “bella figheira” del trio Lopez-Solenghi-Marchesini.
Prima, al massimo, c’era il televoto, il SI e il NO, come a un referendum, e l’interattività era un sogno proibito o una parolaccia.
Ora, grazie alla cultura digitale che non richiede titoli, lauree o altre riconosciute competenze, ognuno è ispirato e pontifica in un idioma, “gentil sonante e puro”, spesso cadente, approssimativo e difficile da comprendere, anche perché privo o ritmato da una del tutto casuale o latitante punteggiatura.
Tutti opinionisti, quindi, maitre a penser, spacciatori di sentenze, divulgatori di scienza e coscienza, tali dal dover riformare urgentemente i manuali di filosofia e psicologia sociale, per accostare al pensiero di Platone o Campanella, quello del giovane rampante, del neo-intellettuale da salotto, dell’imprenditore illuminato, della casalinga stanca e sottomessa. Ovviamente, in ogni settore dello scibile e su questioni di qualsiasi genere: dai trattati sulla nuova economia, alla ricerca sanitaria, fino alle tagliatelle di nonna Pina e alle parabole renziane, post berlusconiane.

E’ il nuovo sport nazional popolare che non distingue più analfabeti e premi nobel, imbrattacarte e sommi artisti, strimpellatori e grandi musicisti. Pure i Sollecito e gli Schettino che hanno fatto lezioni all’Università.
E' spettacolo. E’ la commedia del banale quotidiano che è sotto gli occhi di tutti.
Ma è, soprattutto, un gigantesco bluff, costruito a tavolino, da chi ha il potere di orientare e decidere per noi, facendoci credere che decidiamo noi.
E’ il business monopolistico della comunicazione mediale - dalla proprietà dei mezzi di produzione (Il Capitale) a quelli dell’informazione (Globalizzazione) - che riguarda Internet e TV, stampa, cinema, editoria: loro stabiliscono cosa dobbiamo vedere e cosa leggere e sapere e noi vediamo, leggiamo e sappiamo quello che ci impongono, pensando di scegliere ciò che ci piace o non ci piace, discutendone fino allo sfinimento, fino alla sfida, all’offesa e alla minaccia.
Ben oltre la ragione, l’educazione e la civiltà, calpestando il dialogo e il rispetto, per alimentare, inconsapevolmente, una colossale fabbrica di chiacchiere e consensi che fa soldi con un nuovo business.
 20 febbraio 2017 (Alfredo Laurano)



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