venerdì 17 febbraio 2017

DA DA UMPA

Con “C'era una volta Studio Uno”, la RAI si celebra con la dovuta sobrietà e si racconta in uno spicchio della sua storia, anche a beneficio di chi non ha vissuto quel periodo e l’epopea dei primi varietà della TV in bianco e nero.
C’è il ritratto di un’epoca, dell’Italia degli anni sessanta, che sogna in grande e guarda al domani, fra costume e crescita sociale, in questa breve fiction, dove vicende umane e personali si intrecciano con scelte e intuizioni creative di una giovane televisione, nata da pochissimi anni, che asseconderà e aiuterà lo sviluppo culturale del Paese.
Una TV, ancora artigianale e un po’ bigotta, fatta e vissuta con passione, con cura maniacale, dai costumi alle scenografie, che svela anche i segreti del dietro le quinte, degli antagonismi e dei contrasti di potere, delle ambizioni, dei capricci, delle invidie e delle gelosie. 
Che riflette ipocrisie e contraddizioni, anche morali, di un Paese in divenire e rappresenta gli italiani del momento, indagati con la dovuta attenzione, anche attraverso il puntuale Servizio opinioni e gradimento.
Adeguate e realistiche le ricostruzioni ambientali, gli arredi di set, uffici e di abitazioni, l’uso di oggetti e mezzi originali di ripresa, oggi da museo.
La linea narrativa è semplice ma efficace, diluita con originali immagini di repertorio e con il Dadaumpa che fa da filo musicale conduttore.
Insieme a Canzonissima e a Fantastico, Studio Uno, andato in onda tra il 1961 e il 1966 e ideato da colonne come Antonello Falqui e Guido Sacerdote, è stato probabilmente uno dei varietà più popolari e innovativi della storia della televisione italiana.
La scenografia, inventata dagli autori, era semplice ed essenziale e vedeva in campo strumenti da studio - da cui prendeva il nome - come telecamere, carrelli e giraffe: qualcosa di originale e minimalista per quei tempi.

Per chi, come il sottoscritto, ha conosciuto e ricorda quei momenti, con una certa nostalgia, legata ai tempi e alle sensazioni dell’adolescenza, è un vero tuffo nel passato. Tornano subito in mente due miti dell’epoca, legati a quel programma.

Il primo, le gemelle Kessler, per la prima volta in Italia, che, per vederle da vicino, in tutto il loro splendore e la loro statura, aspettavamo in gruppo e a lungo davanti ai cancelli di via Teulada. Erano maestose, affascinanti, belle e gentili con tutti. Sorridevano sempre e firmavano autografi, dediche e fotografie. 
Scombussolavano gli ormoni e alimentavano le nostre fantasie giovanili. 
L’altro, era Mina, la più grande cantante italiana di tutti i tempi, dalla voce duttile ed espressiva, dal timbro caldo e inconfondibile, dotata di grande ampiezza, estensione e capace di incredibili virtuosismi. Forse, a causa del suo prematuro addio alle scene nel 1978, abbiamo un po’ tutti dimenticato la quantità e la qualità di ciò che ha prodotto e cantato, le sue indimenticabili interpretazioni - oggi, e da allora, solo su disco e in sala d’incisione - e i milioni di dischi venduti nel mondo.
Invito a rileggere la sua biografia, anche negli aspetti più privati e familiari, per riscoprire un vero pezzo, leggendario e senza tempo, della storia della musica.

Molti i personaggi passati sotto i riflettori di quel mitico show, vere icone del momento: da Don Lurio alle trasgressive gemelle tedesche in calzamaglia nera, da Lelio Luttazzi a Walter Chiari, dalla coppia Mondaini - Vianello a Rita Pavone.
Ma la regina indiscussa fu proprio la tigre di Cremona che condusse tre edizioni del programma e si esibì in un repertorio straordinario, affiancata, a volte, in duetti rimasti celebri, da Alberto Lupo, da Totò e da Alberto Sordi.
Era un’Italia in buona fede, genuina e non sofisticata, raccontata dai ventiquattromila baci di Celentano, dal geghegè di Rita Pavone e dalle mille bolle blu di Mina.
Era il mondo incerto dei desideri realizzati e infranti e delle magiche atmosfere che il piccolo schermo, entrato ormai in tutte le case, faceva sognare nell’immaginario collettivo, non ancora contraffatto e adulterato.
Era un anticipo di imprevedibile futuro.
 15 febbraio 2017 (Alfredo Laurano)




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