venerdì 17 febbraio 2017

MI SCAPPA LA PIPI’, PAPA’ PADRONE

Caro Marchionne, caro Renzi – suo indissolubile amico che ora indossa pure lo stesso maglioncino blu – quante volte andate in bagno, senza chiedere permesso a qualcuno?  
Vi è mai capitato che qualcuno ve lo impedisse e vi costringesse a farvela nei calzoni?
Non è una barzelletta, una facezia o una battuta di spirito, non è una provocazione.  
Ma, fare pipì non è più solo un normale bisogno fisiologico, è un rinnovato privilegio che non tutti e non sempre possono condividere, come accadeva nell’Ottocento, come all’epoca degli schiavi e dei padroni.
Sono cose che pensavamo appartenessero alla fase primitiva dello sfruttamento della forza lavoro da parte di un capitale avido e disumano, come ci ha ricordato Marx.
C’è poco da stupirsi, ma molto da riflettere.

Non puoi andare in bagno, non quando ti pare, non quando ti scappa. Da contratto, da regolamento, non è un diritto, ma una concessione.
Così, alla grande fabbrica metalmeccanica Sevel (Fiat Chrysler) di Atessa, in provincia di Chieti, un operaio, che aveva a più riprese richiesto di poter andare in bagno, è stato costretto a farsela addosso, perché gli è stato impedito di assentarsi dalla catena di montaggio. Tieni, tieni, stringi, stringi, alla fine ha dovuto zampillare nei pantaloni.
Sembra un fatto uscito dalle cronaca di due secoli fa o dalle pagine di un romanzo neo-classico o romantico, invece è successo qualche giorno fa.
Al di là degli aspetti comici e grotteschi, quanto accaduto varca ogni limite della decenza, è un episodio gravissimo che lede la dignità della persona, umiliandola come uomo e come lavoratore, insieme a quella di tutti i lavoratori in generale.

Molte le proteste e le reazioni di partiti e sindacati che denunciano l’incremento di ritmi e carichi di lavoro al limite del sostenibile, cui si assiste da molti anni nel gruppo FCA.
Troppo spesso gli aumenti di produttività sono salutati come un fatto positivo, senza chiedersi come siano possibili, ogni anno, a livello di record.
Nei giorni scorsi, alla luce di questa paradossale vivenda, è arrivata una parte di risposta, a palese manifestazione delle condizioni che i lavoratori, loro malgrado, sono troppo spesso costretti a subire. L’arroganza padronale sostiene che la produzione viene prima di tutto e perciò i lavoratori non possono permettersi nemmeno il lusso di espletare bisogni fisiologici, normali per qualsiasi essere umano.

Serve recuperare e riportare una nuova ventata di democrazia reale dentro e fuori le fabbriche per contrastare questa forma di totalitarismo aziendale, che è il prodotto di anni di riforme del lavoro che hanno sottratto ai lavoratori diritti, tutele e accordi sindacali capestro, fino alla cancellazione dell'art.18.
Per questo, la vicenda non può essere sottovalutata, anzi ricompresa in un’analisi più vasta dello stato delle cose.
Pause sempre più ridotte, straordinario di fatto obbligatorio il sabato, usato come ricatto nei confronti dei precari con contratti a termine da riconfermare, contrattazione praticamente abolita, tutela della salubrità e sicurezza dei luoghi di lavoro, sacrificata al profitto degli imprenditori, e libertà di licenziamento: sono le conseguenze della globalizzazione e delle scelte governative che pesano sulla testa dei lavoratori, che hanno imposto la cancellazione dei diritti in un sistema quasi feudale.
Alla faccia dell'uguaglianza e delle nome sancite dalla costituzione.
17 febbraio 2017 (Alfredo Laurano)

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