domenica 15 gennaio 2017

UOVA CARCERATE

Diffuso nell'alimentazione quotidiana e fonte di proteine alternative alla carne, l'uovo è così comune nelle nostre case che difficilmente ci fermiamo a riflettere sul suo profondo significato simbolico, radicato in tutte le culture e in tutte le epoche.
Per i cristiani, è il simbolo della Pasqua, rappresentato dal Cristo risorto, ma per tutti è allegoria universale di vita, di nascita e di rinnovamento. 
In realtà, rappresentazioni a parte, è da sempre un vero jolly della cucina, lo usiamo in mille modi e preparazioni. Da bambini ce lo facevano bere crudo e caldo, appena estratto da sotto la gallina, o sotto forma di nutriente zabaglione.
Ma, se proprio non possiamo fare a meno di mangiare le nostre 220 uova pro-capite all’anno - in verità assai poco simboliche sotto l’aspetto di frittate e fettuccine - quando andiamo al supermercato assicuriamoci almeno di comprare solo quelle che recano il codice identificativo degli allevamenti all’aperto.
Il primo numero deve essere 0, per uovo da agricoltura biologica (maggiori spazi, mangimi bio, benessere animale), o 1 per uovo da allevamento all’aperto. 
Se lo facciamo tutti, se acquistiamo solo queste tipologie, vedremo che la produzione si adeguerà. 
E a noi consumatori non costerebbe poi molto: produrre un uovo all’aperto, anziché in gabbie convenzionali, costa solo 2,6 centesimi di euro in più. Undici centesimi alla settimana per consumatore. 
Cinque euro all’anno per salvare 50 milioni di galline da una vita atroce. 

Costrette in una gabbia dalle dimensioni inferiori a un foglio di carta, le zampe seviziate dal reticolo metallico sul fondo, il becco amputato alla nascita, pieno di innervazioni, che provoca dolore ogni giorno fino alla morte precoce. 
Nessuno spazio per muoversi, sono condannate a stare perennemente al buio o esposte ad una costante luce artificiale.
Non possono aprire le ali, razzolare, appollaiarsi, deporre le uova in un nido. 
Accalcate come sono le une sulle altre, le galline impazziscono e diventano aggressive: si beccano tra loro, si spennano e si cannibalizzano. Si feriscono contro le gabbie, si fratturano le ossa e si ammalano di osteoporosi. Si trasmettono infezioni. Infezioni che passano anche attraverso gli escrementi. Per inciso, le galline allevate in gabbia sono disposte in verticale, per cui gli escrementi di quelle ai piani alti cadono su quelle ai piani bassi.

Sempre quando andiamo al supermercato, ma anche no, anche in casa e nel salotto, proviamo a ricordare che ogni anno, in Italia, 50 milioni di galline ovaiole producono 13 miliardi di uova. Il fatturato supera 1 miliardo e mezzo. Produrre un uovo costa 0,07 euro e ne rende, se destinato al consumo diretto, 0,10. 
Per 9 euro all’anno, una gallina, che ne cala trecento, fa una tale vita di merda che, in confronto, l’inferno del macello è una passeggiata di salute. 

Ai pulcini maschi, che sono inutili perché non producono uova e non crescono abbastanza velocemente da rappresentare un valore aggiunto per il produttore, la vita grama del vegetale in gabbia viene risparmiata. Non perché vengano liberati, ma perché verranno semplicemente uccisi alla nascita. Per la precisione, triturati vivi da una macchina che ne farà farina di carne buona per i mangimi. 
Ogni anno in Italia ci sono altri 50 milioni di pulcini che aprono gli occhi al mondo poco prima di essere spremuti da un torchio di acciaio. 
Ottocentomila milioni di tonnellate potenziali di carne viva sottoposta a crudeltà pura. 
Ma, scegliendo uova bio, almeno le galline possiamo farle evadere da quello schifosissimo carcere a vita.
 (Alfredo Laurano)


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