sabato 28 gennaio 2017

LA RAFLE (LA RETATA)

Per ricordare l’orrore dell’olocausto, ieri sera Raitre ha mandato in onda “Vento di primavera”, il cui titolo originale, “La rafle” (retata, rastrellamento) è ben più concreto e pregnante di quello italiano, piuttosto banale, che si riferisce al nome dell'operazione.
Come ogni film sulla Shoah, è un pugno nello stomaco, una sofferenza minuto per minuto. Si parte dal punto di vista dei bambini e della quotidianità familiare di una serena Montmartre, dove vivono molte famiglie ebree, per raccontare lo stupro civile e sociale perpetrato dai militari francesi collaborazionisti e da quelli tedeschi.
La Francia è sotto l'occupazione. Gli ebrei vengono prima costretti a portare la stella gialla, poi sono allontanati da ogni luogo pubblico, dal loro impiego, dalle scuole. 
Nella notte tra il 15 e il 16 Luglio, oltre 13.000 ebrei, di cui 4.000 bambini, vengono arrestati e radunati nello stadio del velodromo d’inverno, il Vel d’Hiv di Parigi, poi spostati in altri campi di transito e infine mandati a morire nei campi di sterminio di Auschwitz. 
Il film racconta una delle pagine più vergognose e terribili della storia francese, dove tutti i personaggi sono realmente esistiti e tutti gli avvenimenti, anche i più drammatici, sono realmente accaduti nell’estate del 1942.  

UMANITA’ STUPRATA di  Alfredo Laurano

Sarà che con l’età ci si emoziona più facilmente e ci si commuove davanti al sorriso di un bambino, allo sguardo languido di un cane o a una vecchia foto dei bei tempi andati! Sarà che la sensibilità, più o meno innata o acquisita nel tempo, incalza e rimuove il cinismo giovanile. Sarà che l’esperienza, la saggezza e il disincanto inducono a una maggiore comprensione degli altri, alla tolleranza e a una più forte   solidarietà. Sarà il crescente bisogno di partecipazione per non sentirsi esclusi, soli e abbandonati. O sarà l’ansia della vita e la paura di lasciarla…!
Comunque la mettiamo, basta poco a creare un turbamento, a far bagnare gli occhi. In certi casi, poi, il pathos è ancor più giustificato.

Ci sono dei film che, per genere e significato, hanno in me un violento impatto rabbioso, la cui reazione stento a trattenere. Sono quelli che raccontano la vergogna dell’umanità: l’orrore dell’olocausto, delle persecuzioni razziali, delle deportazioni e dello sterminio, ad opera delle belve naziste.
In questi giorni, in occasione della giornata della memoria, ho rivisto o ricordato alcuni grandi film come Schindler’s List, come Train de vie, come Fuga da Sobibor o Vento di primavera, senza dimenticare La vita è bella di Benigni.
La tensione, lo schiaffo lancinante, il disgusto sono stati ancora e sempre atroci e dirompenti, come la cattiveria di chi, abusando della forza e del potere, distrugge sentimenti, sogni e dignità, strappa i figli alle proprie madri e si arroga il diritto di decidere come e quando toglier la vita a milioni di persone, a bambini innocenti ed indifesi.
La rappresentazione del male, della violenza, della crudeltà, della ferocia è molto spesso più efficace, più acuta, straziante e sconvolgente della stessa realtà che icasticamente racconta, che descrive o raffigura.
Nel cinema, la cui forza evocativa è ancora straordinaria, la narrazione attraverso immagini, suoni, montaggio e inquadrature suscita potenti emozioni e coinvolge, in un tutt’uno, la mente e tutti i sensi di chi guarda.  Fino a svolgere, come il teatro, anche un effetto catartico, determinato da un rapporto osmotico di proiezione, di identificazione e di profonda empatia.  Questa spontanea capacità di compartecipazione, di condivisione degli stati d’animo, di immedesimazione in persone e situazioni, fino a coglierne reazioni e sofferenza, crea un forte dolore dello spirito e, nel mio caso (ma non solo), anche del corpo e dei neuroni.
Di fronte a tanto orrore e brutalità, sento salire, progressivamente, un furore e una rabbia repressa che si trasformano subito in autentico malessere fisico: affanno, fitte, batticuore, alterazione e irrequietezza. Sento nascere l’angoscia, la pena e una voglia irrefrenabile di fare qualcosa, di menar le mani, di intervenire, di proteggere, di salvare, di cancellare quel tormento, di uccidere il mostro criminale. È un impulso che scuote forte la coscienza e porta a rispondere con violenza alla violenza cieca, a reagire con la forza in quello scenario brutale e sanguinoso che annuncia al mondo la tragedia dell’umanità stuprata.
Questa conflittualità rimette in discussione le ragioni della civile convivenza, dei principi del pacifismo e della non violenza, del rispetto della vita di chiunque, fino a giustificare, per ineluttabile necessità, una reazione giusta di legittima difesa dei popoli e della libertà contro l’atrocità di ogni forma di nazifascismo, di barbarie, di      totalitarismo, di ogni guerra o genocidio, di ogni crimine contro l’umanità.
Del resto, anche Gandhi affermò che “uccidere può essere un dovere…!

30 gennaio 2013      AlfredoLaurano

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